giovedì 9 giugno 2011

Il cattivo tempo (Bozza di monologo o lettera d'amore)

È uno stato degli occhi e dei pensieri, quando mi accorgo che manchi la luce giusta per cominciare. Che non esistono gli interlocutori che stimolino a una crescita e a un confronto, ma che sono eccellenti architetti, con la testa in aria e il sigaro storto che affumica l'umido grugno. 
Avverto il cattivo tempo: di un' epoca  statica, e di un tempo culturale che misura, annusa il piatto e non lo sfiora, lo scansa, ma ne individua per intuito o per orgoglio gli ingredienti, e li condanna guasti. Senza  speranza di assaggio e di sentenza. 
Il cattivo tempo dalla tua finestra in cui mi specchio e mi rabbuio, mi riporta a figure gotiche e più antiche, che hanno capito e captato senza imparare, contro quelle che hanno imparato senza capire e captare. Conosco la quantità di potere che si cela in un movente sordido di scrittura. In molti casi è una rivalsa, per aver fallito altrove, o perché forse non c'è più tempo per farsi scorgere e allora si lancia un grido nel vuoto, ma lo si scrive con una grafia troppo perfetta per farlo arrivare in fondo, per spaccare un cristallo e infrangerlo in un punto opposto dell'emisfero. Per deviare la curva del pipistrello e la risata cupa del gufo.
Il cattivo tempo dell'arroganza, che scorgo sempre più densa, come neve bianca, e che ammanta cuori e cultori. Quella che non lascia spazio ma dispensa strazio. Il sapere come un avere. C'è la possibilità di ascoltarsi ma non di perdersi. Non potrai mai perderti in quello che fai, ascoltami e non ti girare: non ti sarà permesso. Non potrai contrastare le direttive e le coordinate  che sono state tracciate e imposte al copione maestro. Dovrai affossarti a poppa con gli stessi venti, e sentirti travolgere da una burrasca allo stesso modo, con lo stesso balzo o rinculo all'indietro. Attenta alle sbucciature dei gomiti e delle belle ginocchia, a non succhiartele e a non truccarti la bocca con quella roba lì.
Le parole sono segni. Hanno la fragilità e la forza del codice. La natura e la tenebra criptica, quanto la fascinazione semantica dell'evocazione. Ma ogni codice avrà le sue limitazioni. Il segno avanza con uno spasmo, che quanto più naturale e maestoso, verrà sorpreso e poi soppresso da nuovi e generosi ammortizzatori sintattici contundenti, che spostano il paragrafo spastico e lasciano spazio al pensiero terso e semplice con una foresta pluviale di stampelle. Il paragrafo metallico perfetto, come un polmone rantolante d'acciaio: l' unilaterale, cristallino, placido, fobico, consolatorio e possibilmente senza punte falliche sporgenti.
Il cattivo tempo: ogni penna è il tentativo di un coltello da sub di sciogliere, sbrigliare, divincolarsi da una rete folta di alghe. È un gesto fallico, fanatico e mistico, di ricongiunzione a una propria natività profana. Lo scafo è pronto e rintuona di schiuma. Lo sperma dell'oceano che sogna e il mio braccio cerca di asciugarsi. Mi alzo per metà la camicia, mentre il passero dalla gola bianca mi lascia un bacio sulla fronte e rimane fermo, quando lo sfioro con la punta del naso e gli faccio chiudere i semi dolci e asiatici degli occhi bruni. In un lungo sogno avverto il dolore di un tuo incanto.
Ancora la mia voce non si sente. Eppure la sto abbassando all'infinito.  Dal cortile sento la schiuma pesante di una vedova che lava una tomba, ribollire dai secchi, e intingere di celeste le mie ultime parole rovesciate. Un ramo si spezza. Adesso c'è un tuono. È biondo, con i capelli di un principe, che strappa la criniera e scivola da una giumenta calda in amore per poi venirne travolto. Le mie parole scorrono, come mestruo fiumante  e fumano l'argilla, consolando la notte insonne dell'uccellino, la fronte fredda del becchino, la giarrettiera bianca della sgualdrina. Cercano sfogo, nell'ultimo gomito di fogna e rischiano e raschiano la certezza del silenzio perfido e perfetto del giullare monco.
Il cattivo tempo: ancora in agguato. Come il tuo viso che mi scrive e ancora il tuo nastro che mi lascia una traccia verde nel buio. Dal tuo tavolo ti scorgo una gobba nuda che sgorga latte fumante. Annusi il vomito del firmamento insieme al mio migliore pensiero e alla tua tristezza immensa. Il pensiero migliore arriva solo col sonno. Non esistono parole scritte che non siano l'ombra o il cattivo  fantasma di tante altre perdute e sfinite, in un orgasmo giostraio di sonno senza sogno, senza una fine. 
Brindo a tutto il  mio non scritto, a tutto l'incompreso e il rifiutato, al contorto, al mio sputo, al mio muco argentato e al mio indaco gesto e delitto secreto. Brindo a quello che non ho lasciato, che non ho più preso e poi raccontato, e che mi è già sfuggito, come il passero cieco appena scomparso e ormai sfumato, che mi ha pizzicato il dito e ha ingoiato una tua piccola perla rosa scivolata da un filo:
perché è solo in quell'unico limpido tempo di un lampo, che sarò forse vissuto:

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