Sarebbe il caso di fare un po' di ordine. Questo è uno dei propositi più comuni, che periodicamente tendono ad insidiarmi e a corteggiare e insieme osteggiare i miei percorsi. Come se affiorasse sempre un senso di colpa. Una tendenza a mettere a posto quello che ho spostato e ho danneggiato, cominciando a fare e a scrivere qualcosa.
Una macchia, sulla purezza e sulla pulizia e sull'ordine immacolato, di tutto quello che è rimasto intatto e lontano dalla mia zampata selvatica. Se guardo alla parte bianca della tela, mi sento un ragazzaccio, con le mani unte di olio per auto e i pantaloni strappati, che infanga di viola e di nero qualsiasi cosa tocchi. Sarà forse così. Possibile. Se così non fosse sarebbe tutto troppo semplice. Ritrovarsi, e adesso insisto, in un luogo che non abbia niente a che fare con le proprie parole. Ritrovarle dal lato opposto. Lasciarsi divorare, sparire e poi cominciare sul serio. Lontano dalle certezze, dalla tecnica, dalla comodità, dal vizio, dalle abitudini, dai vezzi e stravizi di scrittura. Dentro il proprio dialetto o nelle proprie feci. Cercare un bossolo ancora lucente in una discarica. L'ultimo.
Ho il desiderio di rinnovarmi e per rinnovarsi non si può partire dal mero esercizio del linguaggio. Non si scrive mai in poltrona e con i caloriferi accesi. Nemmeno adesso, che ho una finestra davanti dove soffia il vento, e avverto i rari passi sulla scala a chiocciola che mi riportano qui. Dove ogni nuova parola è un'esperienza di sconfitta trionfale.
La rottura tragica dell'osso del collo e del polso.
La rottura tragica dell'osso del collo e del polso.
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