Prediligo una certa ansia sentimentale, in qualsiasi possibile disfacimento di costrutti e ortodossie: scrivendo.
Una ragione emotiva alla dimensione esperienziale della parola maga. Toccare il foglio con gli occhi affondati nella variazione della luce, e cercare di essere assorbiti da una terza atmosfera, che sia superiore a quella che stacca dal balcone e che rintuona nel mio stomaco vuoto digiunato.
Impossibilità di una comunicazione emotiva, in relazione alla complessità del fattore sentimento come parola: di questo non mi preoccupo. Vernicio la mia navicella, tutti i pomeriggi, con il polso bagnato dai goccioloni, e guardo la suorina che passa con l'ombrello e il fiordifragola appena scartato e mi dice: sera, con una voce molto ordinata e pulita, da campicello nell'alba dal trenino fischiettante.
Ascoltando la vita profumata che sbava e che passa e che non potrò fermare, se non sformandola, invento il mio disastroso torrente comunicativo. Non pretendo ascolto e non dispenso che grandi mobili incertezze, inganni, forni spenti e lanterne mezze accese. Un Carnevale rauco, per comunicare quello che vedi. Chi potrà riconoscersi in quella maschera, che hai appena fatto affacciare al balconcino della stanza rossa, sull'aranceto in fiamme: quella che sputa una banana intera, mentre distillo la mia grappa dolorosa dalla stanza accanto.
Ascoltando la vita profumata che sbava e che passa e che non potrò fermare, se non sformandola, invento il mio disastroso torrente comunicativo. Non pretendo ascolto e non dispenso che grandi mobili incertezze, inganni, forni spenti e lanterne mezze accese. Un Carnevale rauco, per comunicare quello che vedi. Chi potrà riconoscersi in quella maschera, che hai appena fatto affacciare al balconcino della stanza rossa, sull'aranceto in fiamme: quella che sputa una banana intera, mentre distillo la mia grappa dolorosa dalla stanza accanto.
Comincia il linguaggio dalla sua fine. Dal suo tragico e radioso bisogno di confondersi con altro. Il romanzato o romanzesco, pullula di luci basse. Ho paura di scottarmi con la lampadina del presepe, che ho lasciato sull'armadio, a prendere polvere e ad accogliere piccoli ragni pagani, in un concerto di zampette. E il rintocco della matita che corregge.
Potremmo comunicare attraverso una rivoluzione del codice. Criptare ma svelare, a quelli che sentono quanto possa fibrillare la parola nuova. Si dovrebbe lavorare nel sonno, o nel mezzo sogno. Almeno per attaccare la prima zampata di testo. Dimenticarsela, da sveglio, e senza suggerirsi quando si scrive.
Prevedo un continuo azzeramento. Un ritorno al sonno vigile o alla frammentazione di un reale relativo, dal quale cerco di risucchiare un vaccino per fagiani.
Passo e chiudo.
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