Le colline che attraversano la valle dell'Ebro erano estese e bianche.
Così comincia il grande racconto di Ernest Hemingway Colline come elefanti bianchi. Dal nulla si intravede e si avverte la sua voce asciutta, il fumo della sua pipa. Basta questa immagine per capire che cosa si incontrerà. A volte basta anche un solo titolo. Un solo nome. Un punto. Un silenzio. L'arte del racconto è fatta di particolari impercettibili, e non classificabili in alcun decalogo preciso e assoluto. È l'arte del dettaglio, del suono, del ritmo, dei colori, della luce e di tanto altro.
La buona scrittura è in gran parte un gran segreto. È in questo segreto risiedono l'arte e la personalità di chi scrive. Ma soprattutto l'arte del momento di rifrazione e di espansione pulita del primo lampo nel buio fitto: senza momento e senza lampo nel buio fitto non c'è e non ci sarà uno sviluppo. E tutti questi fattori devono coesistere e svilupparsi fin dal primo istante. Devono essere distribuiti, mischiati, confusi, ma pulsare dalla prima all'ultima parola, come miocardio di un'idea di vita e di scrittura personale, e non di sola scuola. L'arte del racconto è complessa e misteriosa. Io la amo per questo e mi auguro che non diventi mai troppo chiara, e che nessuno tenti di rendermela meno misteriosa e complessa di quanto io stesso la viva e la avverta, o ancora, di rendermi meno misterioso e complesso nel vivermela e nell'espanderla – anche se qualcuno ci ha provato, ma senza risultati.
L'arte del racconto è solo una collina di elefanti bianchi.
L'arte del racconto è solo una collina di elefanti bianchi.
"Prendiamo una birra".
"Dos cervezas", ordinò l'uomo attraverso la tenda.
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