sabato 23 aprile 2011

L'opera e il dolore del non artefice pensante

È molto diffuso il vezzo o il vizio di non gustarsi mai del tutto la bellezza o il valore di una certa opera, perché rosi dal tormento di non esserne stati i diretti artefici. Con questo impulso, molto naturale e diffuso, all'ammirazione per quella data opera, si accompagnano spesso sentimenti complessi e contorti, che sfociano nell'odio per la stessa creatura ammirata ma soprattutto per il suo creatore. A volte, per le stesse ragioni, si può arrivare a demistificare o a distruggere i contenuti della stessa opera, cercando in ogni modo di ridimensionarne i pregi e la rarità, e metterne in primo piano i limiti, eventuali o possibili di chi l'avrà soffiata dal nulla e poi strutturata fino alla sua possibile e tragica perfezione. Se non fosse stata così bella, di quei limiti non se ne sarebbe parlato. Questo avviene anche in persone non dedite direttamente a quell'arte, ma comunque desiderose di prendere parte alla magnificenza di un certo processo. L'artista stesso di quell'opera così controversa, se attraversata da tante pulsioni parallele, potrebbe avere vissuto nel suo passato una stessa dolorosa sequenza di spasmi, verso opere di altri, avvertite impeccabili e molto dolorose perché non possedute e generate dalla sua stessa maestria. Questo allora potrebbe far pensare che uno dei fattori che meglio si addensano nella creatività, sia il dolore di constatare un proprio limite, una propria impossibilità nell'esprimersi come si vorrebbe quando si incontra un momento di arte profonda che parte da un altro che non sia tu. Nel constatare la difficoltà che si incontra quando si vuol creare negli altri o anche in un solo altro, quel certo innamoramento, con una propria opera, simile o superiore a quello stesso innamoramento che si è provato dentro se stessi amando e odiando l'opera di un altro.
L'argomento è ampio e complesso, ma profondamente artistico e dolorosamente umano.

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