Mi sono trovato a casa di mia sorella, questo pomeriggio, quando mio nipote mi chiedeva un aiuto per ripetere la sua lettura. Frequenta la prima elementare. Ho ascoltato la sua lettura scandita di una quindicina scarsa di righi. I suoi rallentamenti, le riprese, le sospensioni, le esitazioni e gli accelerando, quando il percorso si faceva piano, e ho cercato di entrare nelle sue parole con quella stessa profondità di sforzo che doveva imprimere nel suo esercizio per ottenere un certo risultato. L'ho fatto con lo stesso spavento e incanto della sua espressione.
Ho pensato alla meraviglia del leggere. La stessa grande gioia di cui ha parlato Vargas Llosa, nell'apertura del suo discorso per il Nobel. La stessa analisi raffinatissima di Alexandru Cistelecan, quando in un suo convegno in Italia ha detto che non esistono esperti di poesia. Perché davanti alla poesia si ritorna tutti alla prima classe elementare.
Niente di più vero.
Niente di più vero.
Continuavo ad ascoltare i suoni di ogni parola, che pronunciava mio nipote. Osservavo i particolari e li agganciavo alle mie sensazioni, alle mie informazioni e ai miei ricordi lontani e più vicini di quel momento.
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