lunedì 25 gennaio 2010

La luce di Gatto e i miei ritorni

Il ritorno alla poesia di Gatto, anche solo per assaporarne un solo verso, una piccola sequenza, semmai ripresa dallo stesso punto lasciato a distanza di un certo tempo, più che una piccola abitudine, la avverto adesso quasi come un'urgenza del suo particolare e singolare linguaggio, incapsulato in vere e proprie isole di luce, che spaziano, confondono di quella nettezza e nitore così precisi e incolmabili a ogni rilettura, accompagnato sempre dalla trama di un mistero ermetico e in quella forma così lucida, che contribuisce, in diversi casi, a rafforzare il gioco cromatico del suo lungo e cauto (in)canto. Scorgendo a volte il pastello, delle sue case e delle sue sere, e sentirle vicinissime a quelle che forse avrò visto da qualche parte o forse appena sognato o disegnato, chissà quando. Poeta che non sazia ma sfama, delle sue ampie distese innamorate e luccicanti. Ancora.
Stamattina condivido uno dei ritorni a uno dei suoi testi, come una consacrazione di luce, ancora una volta sempre diversa e rinnovata nello sciogliersi. Dalla prima parte di "Pianura":
"Sera calma di lume
finita nel clamore
alto dei pagliai:
nel suo stupore
bianco d'aia
cavallo incantato
beve occhi e occhi nel fiume..."
Alfonso Gatto da Poesie 1929-1941

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