domenica 6 gennaio 2013

Formazione e informazione sentimentale. Lo scegliere nel sentire

Gli incontri con gli scrittori che ho amato molto sono stati sempre devastanti, mossi da grandi scrosci di temporali, stravoglimenti, sbalzi, risacche. Non ho mai pensato di avvicinarmi a loro per imparare a scrivere meglio o con l'illusione che leggere uno scrittore bravo fa diventar bravi. Questo può avvenire e non può avvenire. Non credo si impari a scrivere seguendo le stesse strade degli altri che scrivono, leggendo quello che leggono gli altri e non credo nemmeno che uno scrittore debba occuparsi solo di parole, così come un musicista solo di suoni o un cineasta solo di immagini. Ci vuole altro, che nessuno mai saprà: un mistero, un mistero misterioso, ecco, per completare al meglio una formazione infinita, secondo me, senza confini troppo chiari e definiti(vi).
Nel mio caso tutti gli incontri con scrittori che sono diventati parte indissolubile della mia vita, sono stati vissuti in profonda solitudine, senza nessun riferimento che mi indicasse la loro bravura, la garanzia che quella lettura mi avrebbe dato delle chiavi, delle soluzioni, delle particolari aperture. Niente di tutto questo. Il più delle volte gli incontri non sono stati voluti, sono avvenuti per puro caso. Ed è per puro caso che spesso comincia il meglio, tutto quello che un attimo prima non avresti considerato, tutto l'inesistente, in mancanza del quale la tua vita e la tua scrittura sarebbe andata avanti lo stesso, indisturbata, ma che d'incanto e senza un motivo chiaro, diventa indispensabile: l'indispensabile. 
Tutti gli avvenimenti più o meno casuali che mi hanno avvicinato ad approfondire un certo grandissimo scrittore, non sono mai nati quindi da fattori esterni a me, da schede tecniche dettagliate con punteggi e stelline e classifiche, recensioni, previsioni, annotazioni, riferimenti attendibili: assolutamente no. Ma da un mio sentimento che si smuove e mi dice, dall'interno dell'esistenza di una certa grandezza, di una grandezza che al momento potrei conoscere soltanto io, e nel buio più totale e desertico dei riferimenti disponibili – di solito quando avviene un incontro sono sempre impossibilitato nel fare alcun tipo di verifica: o mi fido o quell'incontro non avverrà mai più, ma parlo di incontri devastanti per la mia vita, senza devastazione di solito non ci si incontra, ci si sfiora e si dimentica.
Dunque, come dicevo, si tratta di ascoltare quel mio particolare sentimento, che caratterizza l'istante di quel richiamo e lasciarsi prendere dall'esplorazione, senza badare ad altro che non sia l'intensità di quell'attimo.
Così ho trovato i miei grandissimi amori letterari, cinematografici e musicali, sono questi i tre perni fondamentali entro cui ruota e si muove la mia formazione: da solo, senza nessun passaggio colto, erudito o nozionistico di consulti, ma abbracciando il calore di quel sentimento misterioso che mi dice che cosa è grande, e che cosa è bello, o forse anche giusto, anche se spesso non ha niente a che vedere con i parametri di grandezza e di bellezza e di giustizia codificati e riconosciuti, ma in quel momento non ho lo spazio per chiedere a qualcuno se sia giusto sentire grande e indispensabile quello scrittore, quella sua atmosfera, quel certo rapimento, ma non si ha tempo di domandare, l'impatto del trascinamento è già avvenuto, è sempre troppo tardi per voltarsi indietro nella nebbia matematica degli altri, quando incontri la grandezza che tu senti, senza che nessuno te l'abbia mai illustrata e confermata. Senza prove o moventi. Solo da sentita e percepita e mai da sentita dire. Questo mi succede anche con le persone che incontro: quando le avverto grandi non ascolto altro. Potranno dirmi qualsiasi cosa di loro, ma non le abbandonerò.
È quello che mi è successo con lo scrittore Javier Marías, uno scrittore grandissimo,  credo tra i più grandi scrittori che abbia mai letto, solo per il fatto di sentirlo tale dentro di me. Senza sapere se fosse stato già tale al momento del mio incontro con la sua scrittura, ma lo sarebbe stato lo stesso e lo sarà ancora lo stesso, qualsiasi cosa potranno dirmi o ridirmi, qualsiasi critica violenta potessero mai rilevargli o rilevare a me nel considerarlo tale. Io vivo e mi muovo, anche nella mia scrittura, sentendo. Non aspettando di chiedere se sia giusto o se sia davvero grande quello che sento e che ho sentito tale, nell'incosapevolezza più assoluta di un giudizio di merito esterno. Io credo all'istante di quel sentimento profondo e fragilissimo, dove muovo la mia vita intera, senza chiedere ma fidandomi di lui, sapendo che lui si fida di me. Semplicemente questo, non altro.
Ecco chi è questo scrittore:

"...perdermi deliberatamente per i quartieri in cui ho imparato a cavarmela, vale a dire con la piantina in mano se è necessario; cogliere l'inimitabile movimento in cui illanguidisce il giorno in ogni punto del globo e l'istante indeciso e variabile in cui le luci si accendono; passeggiare dove i passi non lasciano traccia, sul luminoso asfalto delle mattine o su qualche acciottolato polveroso e vetusto che un solo lampione rischiara al calar della sera; visitare i bar pieni di mormorii indistinguibili, felici nella loro insignificanza e che tutto coprono e spengono; mescolarmi con le persone nelle strade bianche meridionali o nei grigi viali settentrionali all'ora declinante delle passeggiate o del raccoglimento e della breve tregua; vedere come le donne escono acconciate all'imbrunire o forse sul far della notte, vedere come sono in loro attesa le automobili dai mille colori; immaginarmi le serate che le aspettano; perdere tempo. E in ogni città in cui vado mi piacerebbe conoscere gente, conoscere quelle donne, che magari salgono tutte acconciate sulle loro automobili dallo smalto impeccabile per raggiungere l'opera e sentir cantare il Leone di Napoli: per venirmi a vedere".

Javier Marías, estratto da El hombre sentimental 1986

4 commenti:

Eletta Senso ha detto...

Mi ha incuriosito...Javier Marías. Ma certo, l'ho letto. Ma non ricordo nulla. Vado a cercare il libro. Eccolo: Domani nella battaglia pensa a me. Primo maggio 2010: un regalo di un fantasma. Così ho scritto. Due, forse tre pagine in tutto il libro con un mio segno verticale. Quanto poco é rimasto in me in questa casa, di quanto poco è rimasta traccia. Non ricordo neppure la trama. Nulla.
Hai proprio ragione: è insondabile il motivo per cui uno scrittore "ci" parla. Io, per la sua scrittura, sono stata una campana sorda.
Eletta

luigi ha detto...

Ciao,
è tutto assolutamente relativo, personale, e per fortuna che sia così!
Il romanzo di cui parli, che io considero tra i romanzi più grandi e meglio scritti degli ultimi cinquant'anni, credo di averlo letto cinque volte. Ma è tutto legato alla propria dimensione sentimentale che è quella che ti conduce all'esperienziale. Ciascuno di noi deve fare la sua strada con la sua piccola lanterna: al buio.
grazie ancora
luigi

Eletta Senso ha detto...

Tre anni fanno la differenza. Tre anni, a volte, sono un salto epocale. L'ho ripreso in mano e ho cominciato a rileggere... Un sapore denso dolciastro e amaro. Una scrittura "assorta". Il protagonista che registra i rivoli del suo pensare. L'andirivieni delle nuvole della mente, nella mente.
È così, che - a volte- i libri tornano.
Eletta

luigi ha detto...

sono contento di aver preso parte a questo processo di riscoperta e di ritrovamento. Il passare del tempo ha sempre la sua relatività, soprattutto in questi frangenti percettivi con le parole scritte e con le nuvole...
È un grande libro, secondo me.
saluti
l.s.