venerdì 25 gennaio 2013

Un tramonto è un torto

È fermo un tramonto? O forse si muove?
Un tramonto è un torto. Il torto di una fine che macera l'aria di un'entità.
A me quando succede questo torto mi slaccia le scarpe. Mi sporca, mi disordina, si incaglia nella lingua e spezza bottoni di camicie e di giacche. È qualcosa di vivo, come il becco di un corvide che stira un lenzuolo sospeso fino a strapparlo. Il vino buono versato sulla tovaglia della Domenica.
 Guardare da fermi la detonazione degli istanti al tramonto in alcuni casi è la celebrazione di un lutto e insieme di una nascita inattesa. In certi istanti il cielo ha il colore del vomito del mio nipotino, che mi rimise in macchina, giusto a fine viaggio. In altri la città di Mentone, la Gaeta medioevale, una nave ancorata di notte nelle lanterne, un arazzo fiammingo e la musica di banda.
Una sera stavo guidando da solo sull'asse viario Castel Volturno Lago Patria, fui immerso dalla pomata soffocante di quel rosso, dallo spasmo di quella violenza come un pugno pieno sulla bocca. Non era arancio era un rosso di un corpetto d'epoca, uno sbocco cupo di tisi sul pianoforte di Chopin. Era fuoco. Un fuoco che aveva torto. Io guidavo nel fuoco e mi sentivo felice e svettante come un rogo. Una nostra amica diceva a suo figlio che a quell'ora il sole metteva il pigiama. Un pigiama tutto rosso prima di dormire.
Quel rogo era un momento di transizione e di agonia. Il filo spinato di una giornata murata nel suo culmine. 
Allora guidando con la macchina a finestrino aperto, mi sentivo il rosso sul braccio nudo che mi leccava, come se fosse un animale vivo. Un tramonto può leccare e può essere impregnato di una saliva odorosa di confetteria che non dà più pace. Ma tace.
Il rosso si estendeva e si muoveva da fermo, dilagando in quel tratto libero dell'asse viario in leggera curva, quando lo sentivo (in)definito in una sua eterntà mostruosa e ammaliante. Quel colore era una prova della mia esistenza, e non solo una traccia di trascendente. Il mio respiro era meno intimo di quella luce rossa che ammalava lo sguardo e i sapori del confetto guasto sparsi nella bocca. L'aria si faceva densa di un medicinale misterioso. Un rosso che pareva dileguato e insieme urticante come il sangue di un animale sgozzato o investito da un auto. Come quel cane nero, che incontrai un mattino lungo la strada che mi portava a scuola. Stava quasi per morire in una pozza di sangue. C'era una mia compagna di classe vicino, assieme ad altre persone, che cercavano di aiutarlo e di riscaldarlo. Quel cane sanguinava il torto di un tramonto. La mia compagna di classe era molto bionda. Da accovacciata mi guardò, nei capelli lunghi, commossa e un po' celeste d'inferno.

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