Non sono ancora così convinto che durante un qualsiasi metodo o processo e istigazione alla versificazione, uno scrittore utilizzi un motore così diverso rispetto alle dinamiche e istigazioni alla prosa. C'è da dire che ogni scrittore vivrà e maturerà i suoi interessi, i suoi processi e le sue maledizioni e istigazioni a certe forme, nelle modalità che più gli si aggradono, ma penso anche che l'origine di un pensiero creativo, non abbia necessariamente, lungo un suo itinerario e in embrione, un comparto che lo definisca fin dalle sue origini più o meno poetico, o quindi meglio versificabile. Non sempre, almeno, uno scritto si riveste di una sua definitiva struttura formale dai suoi primi bagliori.
Quando lavoro sui versi, mi ritrovo a valutare l'utilità del concetto di destinazione e di istigazione, di un qualsiasi spasmo o movente che mi intriga al momento, e mi accorgo che diverse volte si dimentica il senso già compiuto dell'operazione o dell'esercizio in sé, contro tutto quel misterioso resto, che rimarrà sempre avvolto in una nuova ombra, senza che se ne definisca fin dal principio l'oroscopo, se alquanto pianificato il pregio della razza, la fruibilità, la consistenza, il valore. Non è necessario valorizzare fin dall'inizio il rutto emotivo che sfora in un certo linguaggio, o nell'istigazione alla fascinazione del versicolo, ma custodirne e preservarne lo spirito di fondo, il tipo di energia, di coinvolgimento e rapimento, e di relativa gioia e distensione in un alveo rassicurante e preconcettuale, lontano da quel resto classificatorio e sentenzioso a cui alludevo, di cui è rappresa buona parte di certa vita letteraria, che osservo nel silenzio. L'approccio psicologico alla stesura, anche di una sola parola, immette colui che scrive o che ricerca, in una condizione di estrema delicatezza e vulnerabilità, abbassando in quel solo istante il suo impianto immunitario, anche se un solo pensiero troppo ortodosso e macchinoso, travalichi un attimo quella sottile patina e parabola di fumo.La campana di vetro e la camera d'ossigeno.
Scrivere bocconi, con il fiato corto ma con la più grande disinvolta estraneità al destino fatale dell'istante futuro, è una forma rarefatta e pura di talento, che concede quanto meno la magia dell'istante o abbaglio creativo, e la possibilità di rendere forte e maestoso, un momento raro di fragilità e forse di dolore, anche con un polmone solo.
Credo che in un percorso di ricerca e di investigazione dei propri mezzi e orizzonti linguistici, il condizionamento al giudizio e all'ipotesi eventuale e successiva di valore, sia un'interferenza radio molto negativa, in particolar modo in certi ambienti, dove si contano e si non si ascoltano le parole e dove si confrontano opere di altri autori, autori spesso con altri pensieri, moventi e istigazioni, con altre sensazioni, e storie e dolori, e quindi mai troppo confrontabili.
Che si tratti di versificare o di provare strutture di racconti, di aforismi, di romanzi, va preservato e protetto quel certo limbo immaturo e nebbioso in fase di prima carburazione, che consentirà da solo di accedere all'esperienza glaciale e diretta non condivisibile, e senza aspettarsi troppo e altro, ma risucchiando al massimo il siero ghiacciato di quella seduta solitaria, o di quel getto sporco di fumo, che in ogni caso avrà rappresentato una forma privata e incondivisibile di nutrimento. La suprema istigazione.
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