mercoledì 17 agosto 2011

La necessità o tolleranza della solitudine

Mi accorgo e avverto di quanto sia importante e necessario ricercare un solco di solitudine nel proprio percorso di scrittura, e non tollerarlo, come spesso capita.
Penso che una solitudine ricercata e sentita nel profondo come preziosa, abbia un suo - pur se doloroso - spessore e una grana diversa da un'altra che è invece subìta, tollerata, dopo una fallita strategia di evitamento della stessa. Il mio concetto non è legato all'incubazione, alla fase naturale di costruzione e costrizione di una propria struttura in prosa o in versi, per me adesso non cambia. Ma nella fase successiva, quella del lavoro più o meno completato; quella in cui lo sforzo ormai trascorso dovrebbe consentire quella certa fase di confronto, di condivisione e riscontro, a volte di possibile conforto e quindi unico nuovo passaggio obbligato per una certa maturazione, lo stagno adatto per il girino: ed  è proprio il punto cruciale
dove si abbassano
tutte le prime luci
è mozza la corrente intorno,
o si accende solo
in altri vaghi luoghi,
già determinati in origine,
serviti forse da altri
o più alti tralicci teschiati...
e ancora: dove il peso
del mio disegno (s)tremante
diventa come l' invisibile,
o alquanto il più molesto.
Il mio suono stridente,
triste e ridicolo,
come un  clacson
o una cagnara
un gran fischiaccio
di primo pomeriggio
dentro un vicolo.
Non trovo motivazioni
al fitto deserto
che costringe il mio passo,
se non la grande opportunità
di svezzarmi in un a solo 
dalle bianche dune  bollenti,
la geografia verzicante
e torpore di miraggi,
il gran bel sedere rosso
di un'odalisca bruna
che mi straripa addosso
il suo vento spassoso
da una sola piuma.

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