giovedì 12 gennaio 2012

Le parole che non possono. Il personaggio di Simona

Primi abbozzi di una rivisitazione. Personaggio come luogo, o scorcio – ho molto amato parlare di Simona come scorcio magro dentro un altro scorcio: mi ha reso in pieno l'impossibilità delle parole. Accettare il loro impossibile per tentare di utilizzarle, nella certezza del fallimento. Quasi sempre, più si medita in eccesso sulla limatura e più si sganciano sulla carta cadaveri, embrioni folti di sangue nero con i gusci dell'uovo ancora attaccati. Simona non è fatta di parole, è questo il mistero, ma di risonanze al non detto, di vibrazioni, accenni di  tremori o di lumi di casa. 
Ho amato il personaggio di Simona perché è la freccia dove le parole non possono. Lo stacco con l'inutilità dell'accadimento al solo solco semantico se non gusti e non addenti la mollica viola dello sfondo. Credo di averla immaginata con i capelli nella bocca, o con una mano sotto il mento o nell'intercapedine di un lungo colpo di sonno, emersa dal pane di una fiaba (Perrault), attraverso tutte altre immagini che non ho scritto e descritto, ma che le ho dedicato nella sua costante assenza e dolcezza-mitezza di un altro tempo. La trama del luogo-persona, è allora originata dal riconoscimento che non ha parole a testimoniarla e quindi l'ho cosparsa di vuoti e di brevi spazi in controluce, tra termini che indicavano e che dicevano altro, forse per non spaventarla. L'ho trattata come un uccello che scorgo da un ramo e che devo cercare di memorizzare o di fotografare per tempo e nel tempo della sua sosta, ma senza farmi scorgere e spaventarlo. Credo che nel non detto di lei e nella ritrosia del suo teatro, si sveli forse un linguaggio parallelo che la include e la racchiude come riflesso rosato del ghetto, lasciandola sciolta e raccolta, e mai in posa. È molto fastidioso dedicare ai personaggi di una storia ore e ore di trucco e di prove luci, per poi accorgersi che non hanno ancora una loro tensione e dimensione. Cercare la migliore forma fisica e grammaticale, per lasciarli apparire e per imporli, come una dorsale appenninica o le creature di un acquario illuminato. La scrittura che amo è fatta di altro... 
Lo scorcio di Simona, quello che si vede e che non si vede, così come qualche accenno al trasognato o alla sua figura di nuca o di spalle, è tutto quello che mi rimane, ma anche tutto quello che mi è mancato e che mi mancherà di lei, dal primo attimo di comparsa nel romanzo. Dove le parole non possono, allora si comincia a cercare e forse, tra uno spazio e l'altro, riconoscerò il suo fischio o il suo passo trasognato, in qualche  tragitto e momento imprevisto della mia vita.

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