sabato 21 gennaio 2012

La villa delle suore

Di fronte al mio balcone, di sera, si accendevano i finestroni della villa delle suore. Avevo l'abitudine di rimanere molto tempo accanto ai vetri, e scorgere le ombre degli abitanti, quando i vetri si appannavano dai fumi del brodo, o  dai vapori del tempo cattivo. Ricordo ancora le sensazioni delle mie piccole ginocchia magrine vicino al vetro freddo; la luce spenta della stanza, immaginando dietro quelle ombre spettrali che cosa si velava. L'odore dei cibi, i pensieri, il senso di Dio, i colori delle belle giornate passate, l'albero bagnato, l'occhio aperto del passero, che in pochi secondi raggiungeva dal ramo prossimo alla villa la mia ringhiera, che di pomeriggio, ancora col sole, era la sua villeggiatura.
Ho assaporato quelle istantanee dal buio, con un misto di incanto e di spavento, fin dai primi anni di vita, in quella casa che è ancora la mia; i movimenti delle suorine senza viso, dai mantelli ombrati che facevano riflesso dalle vetrate, nell'ora di cena, hanno cullato la mia malinconia di bambino, la mia paura del buio o della morte, e forse la mia prima immaginazione, arrivando a raggiungermi, dopo tempo, dentro le parole che scrivo o che sogno, come raffiche di aromi e barlumi, odore di uva nera dalla curva di un bosco fitto. 
Siamo fatti di quello che abbiamo creduto perduto, dei nostri nudi d'infanzia celati e violenti nell'apparizione e sparizione. Continuo a pensare che molti scenari e molte immagini, abbiano cominciato a formarsi dentro di me dalla prospettiva di quella villa, con le sue luci e le sue figure nascoste. Non ho mai visto un viso, ero troppo lontano, e poi c'era la diagonale dell'albero che creava una piccola barra divisoria, anche in autunno e in inverno, tutto veniva filtrato da quel confine, tra il sicuro e l'insicuro, la luce e la penombra. 
Le suore sono andate via da un pezzo da quella villa, che adesso è diventata altro, con altre destinazioni, altre rifrazioni mutate e dissolte nel tempo. Hanno ristrutturato le facciate, altri colori, altre ombre. Non vi sono più confini da trapelare. Ma è rimasto ancora l'albero con le rotte di uccelli villeggianti, e qualche volta, di sera, mi piace immaginare che con le prime luci, si riaccenda quello spavento di visione, con cui prendevo sonno a fatica ed esercitavo la ginnastica dell'impossibile nella ricerca di un segnale di fumo, un sorriso che si arrampicasse sul mio viso e lo sfiorasse con un bacio. Un primo bacio dell'ignoto alla mia vita...

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