martedì 24 gennaio 2012

Il rapporto col testo rifiutato...

...rimarrà ancora lo stesso agli occhi di chi l'ha scritto? Possibile che dipenda dal rifiuto la sua fisionomia d'insieme, che chi la scrive ancora non la conosce prima di un certo responso, o quanto meno non ne intuisce i limiti o le potenzialità eventuali e contestuali al luogo destinato? Il tipo di prospettiva che prenderà uno scritto rifiutato, dipenderebbe forse anche dall'altezza o dalla tenerezza del rifiuto. Dal tipo di spiegazione associata al testo rifiutato – di solito una ciocca di parole, nemmeno di righi. Da quanto si conosca del testo e di quanto si conosca del soggetto rifiutante. Rifiutanti e rifiuti diventano parti mutevoli e assemblate in un unico strano vortice, dove ricompare lo spettro di quello che si pensa di valere, a volte di non valere. 
Si incrineranno certi equilibri, anche se non si avrà mai la certezza che quel testo, quello stesso testo di prima del gelido giudizio, sia stato davvero pesato, palpato, letto, capito, approfondito, amato, odiato,  prima di essere poi rifiutato. O rifiutato in partenza. Al primo sensore di diversità dai canoni del giusto — è ancora possibile. Molte volte è anche importante mettersi dalla parte di chi rifiuta e di chi contribuisce a far percepire come rifiuto un testo che a distanza di istanti dal responso, brillava sotto un'altra luce agli occhi del suo scrivente. 
Ogni scritto un suo destino. Uno stesso scritto è già un rifiuto, al di là del possibile giudizio. Un testo, uno stesso testo, che funzioni e che viene rifiutato con una certa ostinazione, dovrebbe essere pieno di numeri o di uova piene e pulsanti. Ottimo segno. Un testo rifiutato in pieno ha molte più speranze di un testo appena tollerato, accettato e assemblato nel catasto per pura noia, o perché non c'erano elementi sufficienti a definirlo rifiuto, quanti invece a definirlo quanto meno riciclabile.
Le mie parole  quelle che lascio a volte in giro, e che qualche volta vengono rifiutate – per fortuna non sempre – non sono molto più importanti della mia merda. Non credo che abbiano questo valore sacrale, fino a quando non vengono assemblate in un certo contesto dove possono sciogliersi in qualcosa di altro, che prescinda da un rapporto di richiesta di un giudizio e passi a quello di condivisione . Quando le parole non sono comprese e quindi non sono individuate in un possibile seme di organismo comunicativo anche se viziato da mille difetti, rimangono ferme nella loro potenziale nudità dalla mia vita. La mia vita, le mie sensazioni, le mie pulsioni e i miei sogni, continueranno a traboccare al di là di quanta merda concimerà i campi, come guano, o verrà bollata come rifiuto. Il mio forno continuerà a divorare legna, e a schioccare profumi, senza direzioni, pulsioni, moventi, giudizi. I miei testi saranno tutti inutili e uguali, fino a quando non incroceranno una minima attenzione viva e ricettiva, ma sgombra, soprattutto, dall'idea fissa di quello che dovrebbero essere o che sarebbe giusto che fossero, altrimenti essi non conteranno più della suola della mia scarpa. Un testo che brilli dell'attenzione solo tecnica di un altro, non prenderà più valore di un altro rifiutato. Il giudizio di valore su di un testo non è un affare che si può sbrigare con tanta semplicità, così anche i killer dei miei possibili testi rifiutati, dovranno comunque trovarsi un movente valido e lasciare intorno al delitto il fascino di un intrigo.
Altra osservazione, che era poi quella da cui ero partito: che cosa succederà al mio testo rifiutato? Sarà corretto secondo indicazioni precise: forse, in alcuni casi.
Lasciato intonso: forse, in alcuni casi.
Distrutto: questo in nessun caso.
Accantonato per alcuni periodi di tempo: forse in alcuni casi.
Insomma, è tutto da verificare. Quello che conta e lasciare inalterato un nocciolo interno, una propria linea, indipendentemente da quello che accadrà o che non accadrà. Alcuni rifiuti, e questo lo confermo, saranno molto più fertili e nutrienti di alcuni consensi svogliati, sbadiglianti, lasciati nell'aria come fazzoletti perduti in un vecchio teatro, senza neanche del profumo rappreso. Esistono invece fazzoletti di rifiuti molto profumati e quindi molto più vivi e più utili per il testo e forse, ma non sempre, per uno scrittore. Uno scrittore non sarà mai il suo testo, quello che appare e che compare. Nemmeno si misurerà dal numero dei rifiuti. Uno scrittore è uno che entra nello stomaco e nel cuore del lettore, come un topo in una casa, o un ladro in piena notte. È quello l'effetto di rapimento che mi interessa e mi riguarda, il mio movente. Devo costringere chi mi legge a lasciare fornelli accesi e finestre aperte. Non cerco consensi o rifiuti, ma cerco un contatto di profondità dove divento e ritorno lettore dell'incanto di chi mi leggerà e mi eleggerà, in uno spazio superiore e sospeso, che trascenda rifiuti e conferme relative di valore. Un ladro in casa o un topo che ti scivola sotto un tappeto, non avranno un voto ma ti faranno balzare solo il cuore in gola. Se questo non avviene, almeno in una parte di pagina e ogni tanto, è meglio lasciar perdere, secondo me. 
Credo che valga sempre la pena di confrontarsi. L'importante è di farlo in quei contesti dove si accompagni, all'impegno del lavoro svolto, quanto meno un giudizio chiaro e ben articolato, almeno un paio di paragrafi in cui ti si dice di cambiare mestiere, – anche se per me questa è una gran brutta maledizione e non un mestiere: nel caso trovassero il modo per liberarmene, potrei anche ringraziarli, è possibile; o comunque di aggiustare il tiro in qualche modo. Nei casi in cui si imposti una certa comunicativa, i rifiuti potranno fare così da concime.
È questo sarà sempre un bene riciclabile. Le dinamiche di reazione e di gestione con i rifiuti dei propri testi, saranno allora parte viva del processo di scrittura, quanto il getto di una bozza, o di una sua revisione.

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