giovedì 26 gennaio 2012

Aspetti cupi di Crepuscolarismo (?): Cechov e Baudelaire.

Due possibili accostamenti, o forse anche possibili illazioni, ma in ogni caso sento di condividere la sensazione, anche ricongiungendo due territori letterari piuttosto lontani, ma che in questo specifico contesto trovavo accostati da un certo nesso.
Mi limito a fissare i punti segnalando prima le fonti  degli estratti: da Charles Baudelaire, due quartine da "Le poison", tradotte in prosa poetica da Attilio Bertolucci, e da Anton Čechov un estratto dal racconto "Un caso futile" appartenente a quella serie di narrazioni a cavallo del 1885 e del 1886 inserite nel gruppo "Il giudice istruttore".
 Adesso da Baudelaire, "Le poison": 
"o, in una casa deserta, qualche armadio pieno dell' acre odore del tempo, nero e polveroso, a volte si trova una vecchia, memore fiala, da cui esce tutta viva un'anima che ritorna [...]  vecchia fiala desolata, polverosa, sudicia, abietta, vischiosa e incrinata, nell'angolo d'un sinistro armadio [...]

Credo che queste immagini lasciano nelle narici la polvere del tempo e di certi ambienti chiusi, assai simili, anche se traslati in un contesto del tutto diverso, rispetto agli interni spettrali e malinconici della bruttina Kandurin, davvero indimenticabili, per la ricchezza di sfumature e di descrizioni vive e pregnanti  del racconto di Čechov:
"...di sopra, poi, nell'anticamera, mi avvolse un'atmosfera propria solo degli archivi, degli appartamenti signorili e delle vecchie case di mercanti: par che ci sia un odore di qualcosa che è passato da un pezzo, che un tempo visse e morì, lasciando nelle stanze la propria anima".
Giunto a questo punto del paragrafo, giusto questo pomeriggio, mi sono fermato, e ho cominciato a rievocare i possibili accostamenti, rispetto a quello che avevo già scorso e trascorso.
E ancora, prima di concludere:
" Una principessa Tarakanov pareva essersi addormentata nell'aurea cornice, mentre l'acqua e i topi erano rimasti immobili per volere di magia. La luce diurna, temendo di turbare la generale quiete, filtrava appena attraverso le cortine abbassate e si posava in pallide, sonnolente strisce sui morbidi tappeti".
Esiste in queste parole una piovra vorace di ombre e di sensazioni vive, che riescono a fissare senza peso gli esatti punti chiave di quel teatro: "Mi faceva piacere andarmene da quel piccolo regno della noia e della tristezza dorata...".
Non sarà un caso che vadano a incontrarsi il primo, Baudelaire, che Roberto Calasso, a ragione, reputa il poeta con cui sarebbe cominciato il cinema (le candele dietro la finestra, saranno il vero inizio dell'idea di cinema) e l'odore caldo di tensione e di teatro del secondo?
Tutto qui.

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