venerdì 18 giugno 2010

Sull'aggiornamento in letteratura.

A volte mi domando cosa sia un corretto aggiornamento, quanto meno in materia di libri.
Conoscenza di titoli, di tutti gli autori contemporanei più forti, o più in voga, non necessariamente per posizioni sui mercati, ma per spessore, incisività, tecnica, magia. O ancora: conoscenza di tutto quello che vi accade intorno, al di là del prodotto specifico. Saloni, festival, premi letterari, recensioni, riviste, immersioni mirate nella rete.
È davvero possibile ritenersi aggiornati? E quest'aggiornamento come sarà mai attestato, quale sarà quell'elemento che ti riterrà un soggetto aggiornato? La conoscenza di più informazioni rispetto a qualcun altro? O dovrà essere qualcosa che fai per te, che cresce naturalmente come tutti i tuoi interessi, la scelta di un libro, la sua interruzione, il riprenderlo in piena  notte,  il consigliarlo, il dimenticarlo o il distruggerlo? Per dimostrare che non ti sfugge nemmeno uno degli autori più grandi, quelli che costellano la nuova letteratura e che rimarranno impareggiabili, demoni incontrastati, o arcangeli dalle grandi ali in calce metallica?
Io non so quanto sia davvero aggiornato, forse non lo sono per niente o non lo saprò mai. Sono convinto che mi manchino milioni di autori quante sono le cose non vissute o perdute ancora prima di viverle, e ancora me ne mancheranno. Se non sono necessariamente aggiornato sulle piccole miserie di me, non potrò esserlo sulle grandi opere degli altri. Peccato, ma non so cosa farci. Non riesco a catalogarmi un percorso, a impormi una discplina se non succede prima qualcosa di semplice dentro di me che mi avvicini  a qualcos' altro.
Quegli autori che invece non mi mancano, sono entrati nella mia vita da ingressi particolari, e non ne sono mai più usciti. Ma non li ho scelti per sentirmi aggiornato, ma perché ero felice di farlo, affamato, assetato  e per sentirmi sazio o ubriaco, che è tutt'altra cosa dall'essere perfettamente aggiornato, almeno credo! 
Le cose che so e che ho scoperto, non le ho quasi mai decise. Non penso nemmeno che mi abbiano bussato o avvertito. Sono accadute. Ho aperto "La montagna incantata", un mattino prestissimo, quando dovevo rimanere da solo con mio nipote che dormiva. È probabile che in una circostanza diversa non l'avrei fatto. Le circostanze, i piccoli accadimenti, il caso, sono i fattori che mi accostano a qualcosa, da sempre. E che mi insegnano ad amarla, senza sezionarla o misurarla troppo, come quello stesso istante che ha favorito l'incontro ed il suo unico bacio nel buio. 
Non ho mai cercato un autore se non vi è stata una circostanza della mia vita che mi abbia fatto inciampare in un suo testo, in un aneddoto, nell'incanto di un passaggio particolare, che semmai per qualcun altro non avrà significato niente. Questo vale per Petrarca, per Tasso, per Miller e per D'Arzo, e ancora per tutti gli altri. Non ce n'è uno che sia venuto fuori dalle sue sole parole, senza imbattersi nella piccola scintilla di una mia emozione. Se la mia vita smettesse di lanciarmi richiami e si facesse rinsecchita e poco profonda, non saprei più nulla di quello che accade nella letteratura contemporanea, e forse non leggerei e non scriverei più, che in fondo sono la stessa cosa. Tutto il resto mi fa paura.
Ed è per questo che non so cosa significhi essere davvero aggiornati. Nè credo abbia molto senso dimostrarlo.
Tutto qui?
l.s.

1 commenti:

Daniela ha detto...

Sul valore del tuo stile e sulla bellezza delle tue opere parlano da sè questi versi di Montale

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Eugenio Montale


Daniela