mercoledì 9 giugno 2010

Il buon impeto di Slataper

In un'epoca di trepidazioni, da parte di alcuni o diversi addetti, per la chiarezza assoluta, per l'ortodossia  della forma e dello stile a cui deve necessariamente aderire lo scrittore esemplare, nella ricerca del metodo assoluto, della verità dello scrivere (che paroloni!) preferisco guardare le faccende letterarie dalla prospettiva della loro congenita grandezza, lasciando svelare la purezza del panorama e non solo la miseria di alcuni dettagli. E così incontro, forse per un caso, ma un caso molto piacevole, l'impetuoso Scipio Slataper e la freschezza violenta di uno stile particolare, arduo, spontaneo  e personalissimo.
Il caso è la vecchia collezione paterna, o per meglio dire i suoi residui. Una collezione particolare del Saggiatore, molto scarna, quella dove incontro il romanzo "Il mio Carso", in vendita, all'epoca, a lire 400 (il prezzo è impresso sulla copertina, come parte integrante delle altre informazioni, riguardanti la collezione e l'argomento. Il prezzo è infatti conficcato come penultimo tra "I Gabbiani", nome della collezione, e "Il dramma di una moralità" (Gobetti), che sarebbe l'argomento trattato. -insolita e curiosa faccenda lo sbandierare in copertina l'argomento di un romanzo.
Sfoglio Slataper, e ne rimango subito avvinto, come da un richiamo lontano, profondo. L'avvincimento letterario non è mai faccenda molto chiara e io sono convinto che non sempre la chiarezza sia la giusta medicina per assaporarne e svelarne le trame. Se così fosse avremmo una letteratura uniformata a grande chiarezza, senza nevicate o regioni torride, un solo paesaggio conforme all'idea dello scrivere giusto, che rispetti l'armonia delle forme, i giusti prospetti, le regole di toponomastica per non far mai perdere per strada lo sventurato lettore,  e non alle imprevedibili varianti di rotta dell'intuizione spontanea. (Poveri lettori: quanta poca stima e quanto vengono ancora creduti ingenui: dopo Carlo Emilio Gadda è cambiato il mondo, signori. Come d'altra parte con Joyce e con tanti altri!)  
Uno stile può quindi catturarti, atterrarti e atterrirti, ma senza un preciso movente, rovesciando nell'istante dell'incontro, tutti gli altri aspetti che credevi radicati nel tuo gusto, nella propensione a certe atmosfere. Come è capitato a me. Quando leggo penso poco. Invece nuoto, sento come un pipistrello e noto. E allora nei brevi spunti di slancio di Slataper, avverto la fiondata e la rincorsa, senza spavento, che entra in una scrittura giovanissima, flessibile e molto audace, a dispetto di tutti i teroemi sul giusto e sul probabile vero, ancora ostinatamente confermati da qualcuno, ben  cento anni dopo! Che cosa si suggerirebbe  allora: la scuola per aderire al mercato o per contare e catturare sciami di lettori come mosche? La lotta all'involuzione dello stile, alle dissonanze, alle modulazioni sui toni lontani, al fine di disegnare tutti le stesse case bianche e azzurre, con il tetto rosso, un uccello su di una tegola e il cane che dorme, senza varianti o attriti? O invece, e al contrario, un'idea pulita e consapevole dell'espressione letteraria di qualità, della comunicativa, dell'ispirazione, della libertà di un talento? -che di solito giustifca tutto, se e quando è puro, a patto che incontri una fruizione altrettanto sensibile, onesta e ispirata(?). Sono quindi due cose separate la scrittura strategica e la propria ricerca personale di linguaggio, che a volte potrebbero coniugarsi, a patto che quando si scriva non si pensi mai alle segnaletiche imposte, ma al proprio diabolico, ferito o perduto sentire. Come quando si guida un auto, non si ripassano le fasi del motore, ma si sta attenti alla strada e alla sequenza reale dei gesti. Per il resto, poi, ci sarà sempre tempo. Solo alla morte non c'è rimedio.
Gradirei aggiungere qualche breve stralcio dal romanzo di Slataper, non prima di precisare l'epoca di pubblicazione: era il 1912, almeno nei dettagli che ne attestano la pubblicazione da parte de "La Voce" di Firenze.
L'attacco è già singolare, asciutto, coraggioso:
"Vorrei dirvi: Sono nato in carso, in  una casupola col tetto di paglia annerita dalle piove e dal fumo", e così, ad ogni nuovo paragrafo, con una tendenza anaforica, riprende lo stesso: "Vorrei dirvi: Sono nato in Croazia..." e ancora: "Vorrei dirvi: Sono nato nella pianura morava e correvo come una lepre per  i lunghi solchi..." oppure, "Vorrei ingannarvi; ma non mi credereste", Così avviene il primo incontro con Scipio Slataper: confidenziale, intimo, avvinghiato a una sua storia personale e violentemente italiana, e alla vemenza di un conflitto mondiale che lo vide direttamente coinvolto e caduto.
Ancora un'immagine, delle sue spianate improvvise, luminose:
"Il nostro giardino era pieno d'alberi. C'era un ippocastano rosso con due rami a forca che per salire bisognava metterci dentro il piede, e poi non potendolo più levare ci lasciavo la scarpa. Dall'ultime vette vedevo i coppi rossi della nostra casa,  pieni di sole e di passeri".
"L'anima mi si era ormai coagulata per il gocciare della vita inacidita, rabbiosa, negatrice, e mi corrose in rughe la faccia, incassandosi una tana nelle occhiaie".
Credo davvero che possa bastare. Mi auguro che la cattiva nuotata del mio pensiero abbia stoccato!
l.s.

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