venerdì 19 marzo 2010

La sera e la mia casa di mai più.

La sera,
dopo un incubo notturno, ritornando nel giubbino nero da bandito che fende un vento di controcuore, attraverso le mie strade del ritorno, macchine ferme con uomini muti, senza dolori né risate. Un pensiero alle rispondenze o geometriche consonanze dei luoghi, delle figure umane a ciò che si avvicina all'umano o all'inumano, alle strutture architettoniche richiamanti  i carnevali violenti degli astri, e scoprire che anche il taglio sulla coscia altafrontale dei jeans di una donna, non celi e poi  riveli e consoli del vento di una moda soltanto, la notte o la carne chiara di un buon collant, ma anche un misterioso inespresso richiamo di un'altra forma parallela, simmetria a volte occulta o mimata di carni o di sogni satelliti e ingresso superiore in profundis dallo stesso brano azzurro del disagio scucito: se quella di un sorriso pensato e non ancora squarciato o della rima profonda di una bocca che canta di sera tardi o di un fendente torvo di terra, di un ventricolo in un flutter atriale, o dello stesso miracolo di mandorla vaginale nel taglio esatto del tuo occhio scuro scuro, opposto alla tua gamba. Adesso, se io non ti vedo.
l.s.


La mia casa nella tua nuca.
O dove cominciare l'inverno
in un giorno di neve che non ti vedo
e schiaccio ancora il naso a non respirarci
e il tuo buio dei capelli negli occhi
fino all'incendio di una tua corsa improvvisa
che mi brucia il mio ultimo luogo sicuro
con i libri  e i lunghi  abiti pesanti
oltre al telefono e le tele numerate
incenerite alla fonda distanza
di quanto io poi vorrei da te,
se ancora tu non lo sai,

che tu davvero non morissi mai...

l.s.

1 commenti:

sm ha detto...

Bellissimi questi versi, li vedo in una canzone!
Ciao, un caro saluto. Sm
ps: mi dispiace per l'incubo!