lunedì 22 marzo 2010

Nella definizione di poetico (dedicato al blog di Sandra e alle corse di Stefania sulla terrazza dell' hotel Palazzo)

Nella definizione di poetico, anche in campo narrativo o fotografico o cinematografico, è così difficile organizzare una definizione organica e definitiva, non penso che sia mai troppo esauriente, soprattutto per contrastare la tendenza al "poetichese" e alle sue spire così diffuse e voraci. Penso che sia tutta una questione di atmosfere, di piccoli cedimenti alternati, di cose dette e non dette, di assenze e di presenze nel linguaggio, ma nemmeno basta. Troppo teorico, se dovessi spiegarlo a chi non ha mai letto un rigo, a chi si sveglia presto o lavora di notte e non ha tempo per la poesia o per incontrarla o se forse gli è già successo e non lo sa, e se adesso qualcuno mi chiedesse su due piedi di dirgli o di scrivergli che cos'è per me la poesia, ma senza prepararmi un accidenti, come adesso che scrivo e non so neppure che cosa viene dopo, tra un attimo o ancora di meno e nel buio, eppure continuo lo stesso e senza sapere se questo sterco abbia un senso o sia solo una patina densa di ombre sul bianco -che paura: le parole mi sembrano cavalli da corsa appena infranti dalle gabbie e stringono di vento le mie mani, sento il loro fiato di luccichio sui dorsi, come se fossi un motociclista notturno senza i guanti - e allora solo un esempio,  anche uno piccolo, di due parole, ma deve essere istinitivo, "no, Luigi, ti prego: tu non lo devi neanche pensare: adesso lo stai pensando, scrivi e non pensare, altrimenti me ne vado. Senza pensare, altrimenti  lo chiedo a qualcun altro", e giusto per dargli un'idea, per una traccia che lo faccia orientare, anche se solo da una mia personale prospettiva che può essere anche l'ultima del mondo e ridicola, la più inconsistente, allora io gli risponderei così, con una sciocchezza simile che solo adesso che scrivo mi sento dentro, eccola, sta per arrivare, non so neppure da dove, ma guarda che strano: le parole mi scivolano senza che le sappia prima, (mi sento nella casa dei fantasmi a nove anni e con le mani sugli occhi ):
"è poetico qualcosa come... il tenere sulle ginocchia a sedici anni circa e forse per sempre, la più bruttina della classe, toglierle appena gli occhiali da vista e da miopia e scostarle un po' di capelli dal viso e vederla arrossire e girare un po' la testa, come se soffrisse. E scoprire di imparare a guardare lontano, per la prima volta nella mia vita, all'improvviso, e forse accorgermi anche di amarla...e nello stesso incavo di quella linea dolce di ombra e di ansia.
l.s. 

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