lunedì 3 giugno 2013

Après un rêve

Mi capita di sognare ma raramente un sogno mi ha riservato tanta delicatezza e affettuosità.
Si tratta di una parte di sogno, l'unica parte caratterizzata da delicatezza e affettuosità, così come nella vita reale e non sognata, la delicatezza e l'affettuosità non sono più di moda, sono antieconomici, elementi ottundenti, indici di torpore, femminilità latente, debolezza, abbandono, lirismo decadente e pernicioso. Solo la violenza oggi funziona e brilla, come un albero di Natale. Intatta e imperturbabile nel suo fascino, per tutti i gusti e per tutte le età.
Invece l'unica zona di sogno limpida, era anche quella con una luce diversa intorno. Mi trovavo lungo una discesa polverosa, il selciato era fumante di pietre e di tufo; era un pomeriggio ancora luminoso, come potrebbero esserlo quelli di maggio o di giugno. Scendevo e incontravo questo viso, un  viso di una ragazza, appena carina ma non bella, quella carineria che sfuma nel quasi bruttino, che è quella che mi incanta di più oltre ogni altra pronuncia conclamata di bellezza: aveva degli occhiali, quel viso che non ho mai visto nella mia vita ma che conosco e riconosco come persona della mia vita. Esistono visi mai visti ma già noti, già appartenenti a qualcosa di nostro, anche se forse mai apparsi nella nostra vita.
Sono sempre stato convinto anche del contrario: molti visi e persone già comparse e note, non esistono nella nostra vita, pur attraversandoci e mai avranno la forza e la delicatezza di quelli inesistenti ma noti. Quei visi che esistono anche senza esserci, sono quelli che moriranno di meno, forse mai. È nota, almeno nel mio caso, la possibilità che la loro esistenza, anche se ignota a me, mi riguardi e abbia cura di me.
Era quel viso con degli occhiali che mi passava accanto, prima di entrare in un vecchio portone  e io ricordavo di averlo già visto e anche l'altro viso ricordava di avermi già visto, anche se ero certissimo che non ci eravamo mai visti. Prima di entrare nel portone, mi attraversa la malinconia di quel momento così affettuoso, poche parole, la linea incerta di un sorriso appena pronunciato, prima di salutare, anche perché avevo detto qualcosa di semplice e di affettuoso, che non  ricordo ma che è ancora presente nell'aria della casa. Quando il viso è svanito nel portone, ho provato una nostalgia lacerante e violenta, quella che ancora adesso che sto scrivendo mi porto dentro, come se quel sogno mi avesse sporcato della sua forza o della sua bava onirica, o forse si fosse insinuato da qualche ingresso segreto dentro di me.
Il resto è sfumato, ma il mio viso risente di quel momento semplice, piccolo e misterioso, come risentirebbe dell'agonia di un incubo, ma con maggiore intensità. Forse se qualcuno adesso mi guardasse potrebbe ancora scorgerne il riflesso o l'odore, la timidezza, l'indisciplina della sequenza di sorriso, la fretta, l'impossibilità di rincontrarlo ancora, come se quel viso fosse me in una sequenza in 16 mm. Ma forse davvero lo è.

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