domenica 9 giugno 2013

La bellezza delle mancanze


Scrivo per mancanze.
Non trovo altro senso che descrivere questa strana nostalgia che attanaglia quello che tu hai come se non lo avessi. Le mancanze sono parte di quello che ho. Sono in possesso delle mie mancanze, sono dentro i miei occhi, il mio freddo, il mio caldo. Il mio naso, la mia gola, il mio senno, la mia follia.
Sono ricco delle mie mancanze, sono l'imperatore delle mie mancanze insanabili, sempre più profonde per ogni attimo che passa e che non mi passa mai.
Non credo alla perfezione di chi è pago, di chi si sente colmato o in fase di piena.
Ogni idea che mi afferra e che mi conduce verso qualcosa, è la celebrazione di questo piccolo vuoto d'aria nella mia vita che passa...
Quando arriva la sera provo una grande e vaga mancanza e questa mancanza è il mio pieno, il mio migliore cross e caos, la mia forza e la mia sola certezza e bellezza tenebrosa. Darmi una mano o farmi una carezza da solo durante un film dell'orrore.
I miei occhi sono pieni del vuoto della mia mancanza, così la mia scrittura. Se avessi tutto quello che adesso mi manca, proverei nostalgia e mancanza per questa mancanza confusa e misteriosa, che forse un po' mi ama e mi dice di me.
Qualche anno fa mi sono accorto che questo segreto è stato svelato da qualcuno, tra l'altro dall'ultima persona a cui avrei mai pensato: ero a via Luca Giordano ed ero fermo a parlare con due amici che avevo incontrato, quando passa un'attrice napoletana, molto carina, attrice di una fiction Rai, credo che all'epoca questa fiction la davano su Rai 3, adesso recita in un'altra, diversa, ma su Rai 1; non faccio il suo nome, non conta il suo nome, ma conta il fatto che durante il suo passaggio non troppo notato – facendo parte di un tipo di celebrità ancora tiepida quanto lontana dalle notorietà strillate e troppo appariscenti – quella mi fissa come se un po' mi conoscesse, quando proprio io avevo realizzato di averla vista qualche volta in televisione, ma io non vedo quasi televisione, ma era un viso che stava lo stesso nell'aria degli occhi. Quando qualcuno che vedi per caso in televisione te lo ritrovi nelle strade della tua città,  vi è un effetto leggero di sospensione o di strana apprensione per esserti sbagliato o essere tu notato con qualcosa fuori posto, con le carte non in regola, come avvertivo in quel frangente di pochi stranissimi secondi. Lo sguardo dell'attrice rimase celebre e fermo, durante la scorsa del passaggio – era al centro di altre due persone di sesso femminile, non celebri, forse parenti strette, amiche svampite, cuginastre – ed aveva il mio stesso sguardo, quello con cui di solito mi oriento. Uno sguardo quasi accanito a leggere o a scovare qualcosa, formato della sua misteriosa mancanza d'aria, davvero così simile alla mia quasi da riconoscersi. I due amici che erano con me (forse non ancora troppo abituati a tutti gli accadimenti inspiegabili e misteriosi che da sempre mi riguardano) uno che come me vede pochissima televisione, l'altro forse era appena più informato, entrambi notarono più che la relativa notorietà dell'attrice della fiction, quel frangente e quell'intrattenersi nei miei occhi: ma che, ti conosce, Luigi?, mi chiese quello più informato dei palinsesti, ma se io non l'avevo mai vista, era solo un momento di mancanza e forse quello stesso sguardo appena stupito se non insistente e immotivato, era solo un altro attimo di mancanza, forse anche evocato, non altro. Una risonanza.
I due amici non capirono. Non ricordo che cosa dissi, proprio per niente, qualcosa come: se non l'ho mai vista?, ma intanto in quegli occhi c'era stata una sintonia di mancanza e annusamento dello stesso mood, una stretta di mood e di mancanze, come di mani, sfioramento di nasi, gomiti, visi, ma senza alcuna celebrità, desiderio, apprezzamento, niente di queste stupidate: solo questo senso di incompletezza che in fondo è una delle poche cose che davvero mi completa e mi definisce.
Ecco quello che avverto: una compagnia, ogni tanto identificata, di queste distanze con me stesso che ogni tanto tendono a ricolmarsi, come una risacca, e poi di nuovo si sfaldano e rientrano, forse perché saranno un po' il mio mare grosso.
Perché bisogna sentirsi offesi dal provare mancanza, nostalgia, dolore? Anche nell'evocarne, nell'essere motivo di mancanza. Sono sensazioni profonde, legate a quanto conosco poco di me,  al sentirsi vivi.
Si potrebbero colmare tutte le mie mancanze, e lascerebbero il posto ad altre. E anche colmate quelle altre, avverrebbe lo stesso con un altro gruppo. Credo che la mancanza, nel mio caso, sia un colore, o un lato connaturato del viso, del respiro, come un passo, una certa inclinazione, l'orecchio musicale, la generosità, qualcosa del genere. Forse perché tutte le mie mancanze sono proprio me e senza di loro nemmeno esisterei. Chissà, ma forse è proprio così, direi.


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