giovedì 6 giugno 2013

A treno già partito:

Ci si accorge di sé e di quanto si è vivi, per quanto dentro ci arrivino le immagini attraverso la memoria. La memoria, in alcuni frangenti, parla per immagini. Non ha sempre un suono ma una sua luce nativa, o luce prima, che riesce a rimanere accesa nel tempo e a dirmi di me.
Ritorno alla prima persona e ricordo, imparando quello che sono e che sono diventato, per quello che il ricordo mi racconta di me. Del me ricordato che è lo stesso che sta ricordando, ma sdoppiato.
Ero in un treno locale per raggiungere una località del basso Lazio. Credo di avere avuto circa quattordici anni, o qualcuno in più, non ricordo con troppa esattezza l'età, ma ricordo il mese – luglio – e ricordo una ragazza che doveva scendere alla fermata di Minturno, che era in piedi, io invece ero seduto su quei seggiolini arancioni che scattano automaticamente all'interno quando li lasci, di solito erano presenti, in quei treni, sulle aree barcollanti e metalliche dove si trovavano le porte automatiche. 
E da quel punto, mentre il treno cominciava a rallentare, dalla camicia bianca di quella ragazza appare un seno nudo e perfetto, come un fantasma dal vetro di una casa innevata. Si scorgeva il capezzolo teso, il rosa della pelle del seno morbido e ben formato, ombrato dal tessuto leggero e schiuso della camicia, appena reattivo ai sobbalzi dello sferragliare del vagone. La ragazza aveva dei capelli lunghi e in testa un cappellaccio da cowboy. Un viso avventuroso e sicuro di sé, che mi incantò come se fosse un fiume, una montagna, un airone. 
Quello che mi ha colpito di quella visione, è che nonostante le mie tempeste ormonali, si tramutò, sia al momento stesso che nelle successive rivisitazioni, anche in quello stesso frangente di discesa, in un momento di tenerezza e di stupore sconfinati, molto lontani dalla sola pulsione a chiedere il permesso di allungarvi una punta del naso o della lingua, o di chiederle se morde e quanti anni ha, come si farebbe con un cane. In quel momento quel seno mi aveva cercato, aveva cercato dalle sue ombre di quella camicia la mia vita solitaria e rabbiosa di viaggiatore quattordicenne rimandato a settembre, credo due se non tre materie, e aveva incontrato il mio sguardo, come in un sorriso.
Esistono uomini,  persone che conosco e che ho conosciuto, che accompagnano molto spesso la visione di una parte del corpo di una donna, con imprecazioni ai Santi, bestemmie varie, maledizioni o parolacce, che includono le posture più diaboliche a cui il povero soggetto femminile, malcapitato e osservato, avrebbe dovuto sottoporsi per la colpa della sua bellezza. Una sorta di castigo, per il solo fatto che quel corpo così appetibile non sia in proprio possesso e che la donna che lo ostenti nasconda sotto i capelli le corna e sul fondoschiena una codina arricciata.
Invece a me quell'immagine mi ha trafitto di una malinconia infinita, per il fatto che la proprietaria di quel seno, dal cappello avventuroso di cowboy, non l'avrei mai più rivista. Non ho mai minimamente pensato al fatto che sotto non portasse niente come una sua forma di seduzione o di colpa: questa è stata sempre una dimensione lontanissima da me. Non sopporto chi debba punire una persona per una sua ostentazione involontaria, come immagino che fosse, ma anche nel caso avesse continuato a farsi osservare sua sponte in quella feritoia pomeridiana, mi avrebbe donato un ricordo tenero, senza parole, che forse ha ancora il suo valore delicato di sogno. Un ricordo simile alla tenerezza di un polso, di un braccio da una manica corta di cachemire, di una piccola nuca, di un sorriso che non rivedrò ma che nemmeno perderò più.
Lasciamo che la bellezza di una donna si esprima senza addentarla. Addentare un seno con troppa forza, anche solo imprecandovi contro perché è stato mostrato, è come sgualcirlo. I seni delle donne vanno sognati, e disegnati, qualche volta sfiorati con gli occhi e poi ricordati. Così come quel cappellaccio da cowboy, che ogni tanto mi fa sentire uomo per il solo fatto che da quella tesa appena inclinata mi arrivò a sorpresa un magnifico sorriso, a treno già partito.

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