lunedì 27 aprile 2009

Padiglione cancro


Non amo consigliare libri. Cerco di non farlo neppure con gli amici più cari, con cui attraverso i libri in comune mi confronto, mi delineo e ne fortifico il rapporto.
Non amo farlo perché ogni libro è una piccola grande casa, da abitare; e ciascuno ha le sue esigenze di clima, di esposizione, di spazio. E ciascuno deve attuare da solo la sua ricerca intima e personale, attraverso una sua propria strada. Proprio come avviene con la scrittura.
Ma parlare, anche con pochissime parole, di qualcosa di profondo è un po' come fare giustizia alla profondità emotiva di un grande scrittore e di questa sua terribile sfida sul territorio del dolore e della malattia, intrecciato con lo spasmo costante della libertà: Aleksandr Solzenicyn.
In quarta di copertina del suo Padiglione cancro, si parla di una testimonianza agghiacciante del maggior narratore russo vivente, espressione accorata dell'anelito umano alla libertà.
In effetti al centro dei padiglioni, delle corsie illuminate dei reparti, dei corridoi, delle sale operatorie, rintoccano i grandi meccanismi dell'individuo, che si avvertono universali. La solitudine, la rinuncia del dolore alla vita, la sua disgregazione dei confini sociali, a volte mannaia purificante, invasiva, in altra elemento riflessivo sulle relazioni con il mondo, con la natura mutevole dell'altro, con il pozzo ormai opaco di un ultimo desiderio, di un bacio soffocato nell'odore acuto dei farmaci. In alcuni tratti sembra che la libertà si rapprenda dello stesso moto costante di sofferenza, e che ne diventi come indistinguibile. Libertà per la sofferenza o dalla sofferenza?
I tempi della narrazione, le modalità di approccio: forse sono gli elementi che mi hanno più colpito, perché in questo narrare non c'è nessuna fretta di dire, si lascia lo spazio inclusivo per ogni minima espressione dei vari personaggi che si avvicendono e si articolano all'infinito sui temi moderni e fondamentali dell'esistenza, con i loro tratti del viso nitidi pur nel loro pallore, incarnati e scolpiti nelle lunghe ore di permanenza, come maschere tragiche e indimenticabili.
Questo libro l'ho avvertito, fin dalle prime pagine, come un affresco a tinte cariche de La montagna incantata di Mann, sotto un profilo del tutto diverso, ma incentrando il senso del tempo e della malattia con un'oculata e raffinatissima introspezione.
Questo libro è stato un regalo. Non mi è stato consigliato: mi è stato donato.

l.s.

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