sabato 11 aprile 2009

Lo spleen di Corazzini


A volte per entrare nei meandri di un termine che evochi atmosfere, uno così emblematico e complesso come lo Spleen assunto da Baudelaire, può essere necessario uno stralcio di versicoli, che siano in grado di evocare il senso profondo di una certa malinconia, forse più dolente di quella più comune. Di solito si affina allo struggersi che non diventi mai troppo compiaciuto e che si adagi in un certo dolore del vivere e nel lasciarsi andare, che deve rimanere smisurato in una soglia che non si deteriori ma che rimanga ancora fragile e in filigrana, come il soffio così emblematico di molti importanti crepuscolari.
Trovo che sia molto difficile entrarvi con il peso giusto, ed è per questo che stamattina ho preferito filtrare l'effetto così mirabilmente indovinato dal crepuscolare Sergio Corazzini, proponendo quest'estratto dal suo "Spleen", una lirica di Aureole, del 1905, rivelatrice del suo spirito, della sua poetica dolce e tormentata:

"Sei triste, mi dai pena
questa sera; non canti, non mi parli...
Che hai? malinconia
di morire? Ti duoli
perché siamo soli?
Ricordi l'ultimo ballo
nel tuo salotto giallo
roso dai tarli?
Sai che è Primavera?
Io non me ne ero accorto..

Da Spleen di Sergio Corazzini

l.s.

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