È l'orario pomeridiano quello che ormai prediligo per ascoltare di nuovo i primi passi dell'opera di Attilio Bertolucci. Nella lentezza indisturbata della controra, la fiamma bassa sul fornello del caffè e le luci fuori che cambiano e camminano, al passo dei suoi versi profondi, stagionati nel tempo.
Riparto ciclicamente dai primi incanti di Sirio, stavolta ho mantenuto il passo con il bellissimo saggio di Lagazzi- Reverie e destino- per sfoltire o rivisitare quel piccolo passaggio, o riscoprirne la segnaletica sottile di ogni parola nascosta, quando si dilata nella sua ricerca di spazio e di tempo, e si affinano le trovate, la maestria e la ricchezza delle luci e del metro. Adesso sono arrivato a Lettera da casa, le sue prime virate, lo slancio sperimentale verso un certo periodare più denso che si farà corteccia viva, e poi radice. Quell'opera è tutta una scatola cinese, dove riscopro sempre nuove angolazioni, nuovi autori, nuovi accenti e orizzonti sul Novecento e su tutto quello che di anticipato, di preservato, di immutato ne è rimasto ancora integro, finanche nella mia piccola cucina bianca e impassibile, in apparenza almeno, mentre sorseggio e leggo, instancabile, parti animate e sopite della mia stessa vita e di mio padre, poeta lontano lontano, nel suo fumo che rallenta il mio sogno.
l.s.
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