venerdì 7 settembre 2012

L'azzurro della notte: appunti e stralci (Parte I)




Mai come in questo lavoro avverto di aver usato strumenti e aspetti formali che non andrebbero mai utilizzati in un contesto narrativo. Credo quindi di aver trasgredito, almeno in buona parte. Ma mai come in questo lavoro, soprattutto da una prospettiva stilistico-formale, avverto di non averne potuto fare a meno, scoprendo che queste formule più o meno insolite e clandestine di procedimento, sono state anche l'impulso più vivo per questa storia o processo doloroso di metafinzione, fin dal suo seme e abuso originario. Il suo terzo polmone in formazione. 

 La figura di Simona si delinea dalle spalle, dalla loro curva, dalla loro inclinazione trasognata nel movimento complessivo, attraverso lo spostamento silenzioso tra il ghetto ebraico e l'oltreghetto. Quindi anche l'unico reale varco dimensionale di intimità, lo sfioramento di spalle, anche solo con lo sguardo, con la punta del naso, o in una delle prospettive di stupore in cui il professor Plamf è dietro di lei, e mai nel tempo preciso del suo passo. Le due spalle che diventano come due nuche: scrittura della malinconia.

 Non sono ancora convinto sul tema centrale o su quello possibilmente più in vista, se poi si limiti a quello della responsabilità e della fiducia incondizionata, dell'inganno nella ricerca dell'intimità nell'altro a cui ci si affida. Ma, ragionando in questa ipotesi: soprattutto riguardo Simona: chi mai dovrebbe prendersi cura di lei più del dottor Corsi? La figura autorevole sarà solo l'unica più autoritaria, quindi anche la più responsabile, il braccio vedovo con la svastica ma anche l'albero maestro e motore paziente, funzionale al nutrimento sottile dell'ape regina, come quello delle passeggiate serali e domenicali di provincia nelle luci del corso. Ma Plamf aveva davvero tutti gli strumenti in ordine che lo eleggessero elemento estraneo e tutore alternativo, autorevole ma senza autorità, fattore estraniante dell'oltreghetto, come il fischio del ragazzo dalla finestra prima di cena, o quello su cui fare davvero affidamento? Era davvero questo quello che voleva? Con la vista sempre più bassa, ancora così diffidente verso il suo mondo, contro la dimensione rocciosa e leggendaria del melomane dottor Corsi, che è intensamente più lirica e accattivante, di gran lunga la più abitabile con "Il suo ingegno contabile"di relazione e comunicazione, per un'intimità protettiva; in quella dimensione di accoglienza costante nella trattativa dell'affetto, che forse conquista Simona più di ogni altra, nello stesso rituale nevrotico di accudimento/accanimento matematico, a tratti giusticabile come un'equazione non lineare. 

Potremmo parlare di un copione in itinere, che dalla fantasia di chi scrive trascrive e descrive, si intreccia a un fatto avvenuto, o comunque in via di accadimento ed estinzione, spesso sfalsato nei tempi del suo moto, nelle prospettive, negli effetti risolutivi. Ma la pulsione di vita della storia è data in maniera grottesca e inspiegabile dalla furia rocambolesca di un cane, (Lampo, il suo nome scritto) che rimane sospeso tra un senso volontario di perdita nella fuga da casa, a elemento attivo e torturante nel creativo: Lampo e Plamf, con le parole scritte, come Corsi e Simona, con le trafitture dall'astuccio in radica, sotto le stesse luci azzurrine della notte,"occhi di bambini da un bosco". 

 I colori della storia sono in bilico tra i paesaggi gotici della fiaba classica e i picchi ariosi dei racconti d'avventura. La luce attraversa la storia come fumo da una locanda boschiva, appena irreale. La inquina, la intossica. Bellissima e indovinata l'immagine evocata dalla scrittrice Manuela Giacchetta, nella sua incantevole prefazione "Un colore di cui ci si potrebbe ammalare": credo che Manuela abbia centrato in pieno la dimensione onirica della luce nel romanzo, il suo ruolo più intimo e nascosto, l'arcano. (Romanzino del buon crepuscolo, come da piccolo sottotitolo aggiunto). 

 Il cane Lampo è il fattore più vivo dell' avventuroso; il motore, il suo mulino a vento. Corsi è il fattore gotico e fiabesco, la linea d'ombra. Simona è il fattore di sogno e la dimensione di equilibrio tra i contrasti delle pulsioni: la pattinatrice snella in controluce. Plamf è invece la neutralità, la filigrana incerta di opaco che scende di sera come l'autunno annuvolato sul ghetto, che scende e che riemerge dalle cose che vede e che non vede, senza riuscire a toccarle nella loro giusta distanza di intravisto. L'acquerugiola sulla ceramica di Capodimonte. L'assenza più simbolica del profondo in una prospettiva. (Senza altalene o altalune).

2 commenti:

Anonimo ha detto...

E' sempre un privilegio leggere il percorso emotivo di un autore, è come entrare a conoscenza di un segreto. Lo si legge quasi di nascosto, in punta di piedi, per paura di essere visti.
Manuela G.

luigi ha detto...

Detto da te...
l.s.