venerdì 11 maggio 2012

Quando si esprime un giudizio

Quando si esprime un parere o giudizio su di uno scritto è molto importante operare un certo distacco da quello che si ritiene giusto leggere, se si è lettori o critici, da quello che si ritiene giusto scrivere, se si è anche scrittori oltre che lettori e critici. Questo perché la tendenza a leggere col filtro dei propri modelli o parametri, può favorire una sorta di pregiudizio e inficiare un compito così delicato e laborioso. So che questo non è facile. Ciascuno di noi sviluppa sensibilità ed esperienza sulle cose che ama e si affina sulla linea delle proprie passioni o amori letterari. Ma queste cose che si amano debbono essere porte aperte e non recinzioni di un penitenziario.
Un testo molto cattivo richiede poca fatica nell'essere smascherato nella sua reale natura, forse la stessa poca fatica con cui è stato impiantato. Ma spesso è anche molto faticoso arrivare a completare un cattivo lavoro. E la stanchezza del cattivo sforzo può illudere di giustificare un certo merito che in diversi casi non c'è. Quando parlo di un testo cattivo e quindi non corretto, mi mantengo nelle linee più generali, che riassumono tutti quei tragici requisiti o stecche che saltano all'occhio e all'orecchio, al di là delle propensioni e dei gusti individuali di chi legge. Anche se corretti grammaticalmente i testi cattivi non sono così rari. Io sono certo di aver scritto alcuni testi molto cattivi, anche se con l'innocenza e la buona fede e l'impegno di chi si adopera per qualcosa di molto buono. Non credo che nessun essere creativo sia immune da certe disgrazie di inconsapevolezza, che presto o tardi si svelano e si rivelano con maggiore chiarezza. C'è anche da dire che un testo molto cattivo può essere anche il prodotto di uno scrittore molto buono, ma è molto improbabile il contrario, però, e cioè che uno scrittore molto cattivo possa inciampare in un testo molto buono.
Ma, ritornando al punto, esistono testi che potrebbero invece nascondere del buono o anche del molto buono, anche se non ancora perfetti, perché segnano l'intensità e la singolarità di una certa voce, di un certo talento, ancora impacciato nella sua espansione ed organizzazione del suo assetto. Così come vi saranno testi in apparenza corretti, limpidi e incoraggianti, che nascondono al loro interno difetti, cedimenti e crepe, che, anche se non visibili nell'immediato, faranno nel corso del tempo i loro danni. Uno scritto non è mai qualcosa di morto, ma è qualcosa di plastico, di flessibile, qualcosa che si muove e si avviluppa intorno a quelli che sono i suoi punti vitali e anche i suoi punti nodali, in qualsiasi delle due direzioni vadano. Buono o cattivo, il tempo e la stasi e poi la ripresa, metteranno in luce le sue costellazioni così come i ratti bianchi delle sue latrine aperte.
Non è facile. Soprattuto scorporare da un lavoro non convincente una scrittura potenzialmente buona, che potrebbe nascondere potenziale se indirizzata in un certo contesto. Non sempre un testo riflette la reale natura di chi scrive. La sensazione di trovare nella sequenza delle proprie parole una linea fedele che ripercorra una certa inclinazione stilistica, una certa poetica o personalità, è quasi sempre un'illusione. Credo che ci vogliano molti testi, buoni, terribilmente errati meno buoni e anche straordinari, per accennare la filigrana di quello che forse si voleva dire. In diversi casi una lettera di presentazione scritta senza pretese, sarà molto più interessante e veritiera che l'intero manoscritto, sempre se dall'altra parte c'è qualcuno interessato allo scrittore e non alle sue feci.
Il problema risiede nello scindere l'intenzione e la prigione dello spazio circuito dell'esperienza singola del manoscritto, a tutto quello che c'è ma che non si vede. Esistono testi e anche libri che raccolgono in fila per due una serie di fattori impeccabili, dove tutto dovrebbe ritornare al proprio posto, tutto parrebbe funzionare, ma alla fine qualcosa non quadra. Il motore non si accende. Quello che a volte manca in chi scrive ma anche in chi legge e in chi dovrebbe scegliere quello che si scrive, è l'occhio verso l'intensità di uno scrittore, e non solo di un testo. Ma uno scrittore intenso riuscirà a farsi perdonare e a giustificare tutte le cavolate che uno scrittore più corretto, ma non intenso, non potrà mai riuscire a farsi perdonare.
Che cosa è l'intensità? È una voce forte? Non credo. Si può essere intensi in un sussurro, in un sottovoce, e raggiungere lo stesso con un piano l'ultima poltrona di un teatro. Che cosa significa allora essere intensi? Essere drammatici, eloquenti, solenni, tragici? Significa mantenere in tutto il percorso più o meno articolato della propria struttura, una tensione viva, un calore che crea una misteriosa sensazione simbiotica e di toccante intimità con quello che si legge. Uno strano ritorno a casa.
Questo fattore, spesso dimenticato perché poco classificabile, comparabile, racchiude il seme dello scrivere, che non si vede mai nella funzionalità o nell'economia di un testo ma nelle volute dei suoi spettri. Il segreto di quella certa oscura linearità, dove anche le più ardite dissonanze nell'insieme risuonano, e dove dovrebbero delimitarsi, dopo attente letture e sedute di giudizio – e non di pregiudizio – i due grossi blocchi: di chi potrebbe o vorrebbe, forse, scrivere e di chi, invece, non può fare altro. Che non ha scelta, altrimenti ne morirebbe.
Credo che alla fine rimanga una banale quanto tradizionale questione di vita o di morte.

2 commenti:

Marco ha detto...

Più passa il tempo, e più credo che giudicare sia qualcosa di aspro. Io lo faccio di rado e sempre con estrema cautela, perché si entra in un territorio straniero, col rischio di combinare guai enormi.
Ricordo che Carver non stroncava mai, aveva un atteggiamento favorevole per tutte le scritture, anche quelle che forse non meritavano alcuna pietà. Diceva che ci pensa la vita a stroncare: aveva ragione.

luigi ha detto...

Sempre più d'accordo con te, Marco.
È importante imparare a leggere e ad ascoltare; è molto più importante dell'imparare a scrivere, secondo me.
saluti,
luigi