martedì 1 maggio 2012

in relazione al dialogo del precedente post

Nello schizzo del dialogo proposto ieri, vi sono dei fattori occulti sul grande malessere delle forme di un certo linguaggio, sul modo con cui ci si relaziona, ci si avvicina, ci si allontana, spesso senza accorgersi di quello che è successo e che si è appena detto o fatto.
I due interlocutori, di sesso opposto e accomunati dalla risonanza di un qualcosa di passato che li ha relati e poi distaccati, soffiano sensazioni di memoria, forse nemmeno consapevoli di quanto siano simili. Sembra che la frase dell'uno continui e si sprigioni da quella precedente, appena detta, e ritorni nel proprio privato; così come la successiva pare pronunciata dalla stessa voce. Sono entrambi nel fumo, eppure non si accorgono che qualcosa è rimasto, di univoco, qualcosa che poteva essere salvaguardato. Ma il fattore che sentono reale, l'unico di cui si accorgono e che ascoltano, è la lunghezza dei capelli. Perché i capelli corti?
Quando ho buttato giù questo dialogo pensavo al fatto che oggi non si ascolta più. Nemmeno quello che si dice. Si pensa solo a quello che si dovrà ancora dire, alla sua economia, e quello che è stato detto o che si sta per dire è già passato, anche quando lo si dice già non esiste più. E non esiste nemmeno la persona a cui lo dici. Esiste solo se ti dice quanto sia esatto quello che tu dici, il profilo della forma, la sua tenacia affabulatoria. Il suo costo di merce o valore relativo di scambio e di profitto, ma non altro.
Punto e a capo:

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