mercoledì 9 maggio 2012

Il Faulkner de "L'urlo e il furore" e il lungo invisibile sbocciare

Faulkner è il primo autore che decido di rivisitare in linea al criterio di esplorazione che ho anticipato nel post precedente. Lo ripercorro attraverso questo suo romanzo davvero molto particolare e insolito nella struttura, nei sentieri ardui quanto incantevoli di sviluppo: L'urlo e il furore.
Mi limito a lasciare qualche stralcio o assaggio del testo, che renda bene l'idea della sua poetica – pur senza addentrarmi, per ragioni di spazio, nello specifico della storia trattata, – ma in relazione allo stornello  snervante e monotono di semplice o di complesso, applicato con sentenziosa leggerezza a diverse opere letterarie, restando sempre in linea con l'argomento dei criteri di comunicazione che uno scrittore dovrebbe adottare per essere raggiunto e anche per raggiungere un lettore, criteri in cui non credo.

"Il corridoio era sempre vuoto di tutti i passi delle generazioni d'infelici che avevano cercato un bicchier d'acqua. eppure gli occhi che non ci vedevano si serravano come denti non increduli dubitando persino dell'assenza di dolore lo stinco il ginocchio la caviglia il lungo invisibile sbocciare della ringhiera delle scale dove un passo falso nel buio pieno di sonno la porta della mamma del babbo Caddy Jason Maury non ho paura solo la mamma il babbo Caddy Jason Maury andando cose avanti cosa lontano addormentandosi dormirò subito quando la porta La porta"


Riscrivendo questo passo di paragrafo, ho rivissuto l'emozione della sua prima lettura, la bellezza del labirinto, l'impeto, la possibilità di una o più chiavi di lettura o meglio di immersione. Ma soprattutto lo sbocciare della ringhiera delle scale: credo che questa immagine giustifichi tutte le eventuali possibili dissonanze od oscurità che si potrebbero attraversare nella ricerca di un codice. Cosa c'è di più moderno, a questo punto, di una nuova immagine, che sgretola lo stato solido e crea un ribaltamento del piano di visione, della prospettiva. Sono certo  che una qualsiasi rampa di scale accostata al verbo sbocciare, abbia al suo interno una forza espressiva irresistibile, che sbaraglia tutti i pregiudizi e i cuscini consigliati a uno scrittore sul suo terreno linguistico, se troppo duro, e che spesso non fanno che attutire lo spasmo istintivo e miracoloso di una visione senza pari, e di una libertà nel renderla integra nella sua purezza primordiale.
Ancora:

"Cominciarono i tre quarti. Echeggiò la prima nota, misurata e tranquilla, serena e perentoria, svuotando il placido silenzio per quella successiva ed è così se soltanto gli uomini riuscissero a cambiarsi l'un l'altro per sempre a questo modo fondersi come una fiamma che dà un guizzo istantaneo verso l'alto per poi spegnersi pulitamente nel buio freddo ed eterno..."

Quando si insiste con l'essere semplici, si dimentica un elemento fondamentale. Questo: un qualsiasi libro, per ciascuno di noi, andrà a interagire con diversi aspetti paralleli della propria complessa individualità. Aspetti diversi e lontani l'uno dall'altro, aspetti per niente semplici e chiari:
la propria memoria, quindi la propria storia personale che si snoda attraverso la memoria. La propria capacità e attitudine; i propri limiti; la propria sensibilità verso la parola scritta; la propria abitudine a quel tipo di nutrimento, che per alcuni sarà sostentamento, per altri puro divertimento o passatempo. Qualcosa di semplice o di universalmente semplice da confezionare all'occorrenza, dovrebbe così mettere insieme storie, memorie, capacità, attitudini e limitazioni e sensibilità e abitudini del tutto diversi, se non opposti, in una sola grande sfera plurimagnetica di cristallo. Credo che tutto questo sia impensabile e assolutamente riduttivo. Ciascuno di noi avrà un suo concetto di semplicità e di complessità, intrinseco quanto mutevole, legato al proprio bagaglio cognitivo esperienziale, al proprio specifico assetto, ma anche e soprattutto al ruolo e al senso che avranno la letteratura e la parola scritta nella sua vita.
Il Faulkner de L'urlo e il furore trascende lo strumento espressivo spicciolo del comunicare facile o difficile o dell'affabulare, ma si avvolge e si esprime in una sua poetica molto intima e intensa, che va ricercata e assorbita con altri sensori, che non siano legati a uno sforzo di adattamento o di mera concentrazione, ma alla ricerca di una nuova ricettività che si fonda nelle spire di quel linguaggio come nei profumi di un bosco nella pioggia:

"Un passero tagliò il sole di sbieco, si posò sul davanzale e alzò la testa verso di me. L'occhio era tondo e vivo. Prima mi guardava con un occhio, poi flic! ed era l'altro, mentre la gola gli palpitava più in fretta di qualunque pulsione".

Credo che questa immagine dell'uccello che sposta l'occhio nella fase di sguardo o fissità, sia straordinaria. Di un'immediatezza animale, che trascende l'affresco linguistico ma incastona nella pura sensazione. E poi l'uso di quel piccolo prezioso "flic", a dettare l'alternanza e quel cuore in gola, in una gola così piccola, fa davvero tremare.
 Così è stata la mia esperienza. Se qualcuno mi chiede se l'odore di un bosco nella pioggia sia qualcosa di semplice o di complesso, io posso rispondere con uno scavalcamento della risposta, dicendo che è qualcosa di molto bello. O semplicemente: Flic! Un qualcosa di molto bello giustificherà le modalità che porteranno a raggiungere quella bellezza. Non altro, secondo me.

2 commenti:

Marco ha detto...

In questo post ci sono un mucchio di cose interessanti. Non volevo commentare perché c'è talmente tanta "roba" buona che mi pare un peccato cercare di aggiungere altro.
Questi sono paragrafi che mi richiamano alla mente (o forse è un abbaglio?) Cormac McCarthy.
Ma non è nemmeno questo che intendevo dire. Hai colpito nel segno quando affronti (e risolvi) il "problema" della semplicità, di che cosa sia, e di come sia difficile spiegarla.

luigi ha detto...

Grazie, Marco.
Puoi aggiungere sempre quello che vuoi e che senti. Qui sei a casa tua e non sarà mai un peccato.
saluti e buona serata,
luigi