martedì 15 maggio 2012

L'universo Miller



Henry Miller è uno scrittore potentissimo. Lo reputo uno dei più grandi in assoluto. La sua voce è naturale, profonda, inconfondibile. Ho scoperto attraverso i suoi libri l'amore per la vita prima di quello  per le parole. Ho scoperto con Miller l'amore per un solo di Mingus, per una nota strozzata di Miles Davis, la calma rupestre di Budda,  il rumore della pioggia, l'incubo di un'America già moderna e di un'Europa albeggiante e umida. Non consiglio mai libri e autori, di solito nemmeno marche di yogurt. È come consigliare a qualcuno un nuovo amico o una strada per fare prima senza paesaggio. Ma ritengo indispensabile la lettura di uno dei suoi Tropici, che reputo due affreschi geniali e meravigliosi   sull'umanità, e anche l'originalissimo saggio su Rimbaud "Il tempo degli assassini", dove Miller dispiega un canto personalissimo e ricco di insenature, che partono dal poeta per arrivare al sangue ribollente della poesia.


La sua scrittura, ritornando al mio tormentone sulle disturbanti cantilene della semplicità a tutti i costi, non è semplice ma intanto è intessuta di immediatezza e di comunicativa; in ciascuna delle sue espressioni più ruggenti e anarchiche, esiste un filo continuo e sottile di consonanza. Senza regole di scuola intesse delle cattedrali profonde e luminose, così come ricche di misteriosi sotterranei, dove è molto difficile uscire per quanto siano attraenti e prodighe di possibilità e di sorprese.
Stavolta preferisco lasciare un suo passaggio insolito, tratto da un suo libro che non è molto comune: "Max e i fagociti bianchi (saggi e divagazioni)"- E intanto, a proposito di regole e di tabelline letterarie da imparare a memoria, fate caso alla libertà e alla potenza di questo suo linguaggio, alle sue luci, al suo corpo, alle sue immagini. L'estratto che segue è da "Scenario (film sonoro):

"Un corridoio in un albergo. Una cameriera passa per il corridoio con una tovaglia in mano; si ferma alla stanza numero 35 e bussa. Nessuna risposta. Apre la porta, ed entra un'enorme ragnatela che l'avviluppa come una rete da pesca. La donna lascia cadere la tovaglia e fugge dalla stanza gridando".

Piccola interruzione. Avete notato da questo periodare asciutto, così essenziale e pesante, quanta leggerezza e flessuosità? La figura della donna nel corridoio è inchiodata a una verità fisica e sensazionale, uno spazio profondissimo e avvinghiante, lo stesso che pervade il lettore più attento, ma credo anche il più distratto. Della donna si percepisce la sosta davanti alla porta, ma anche i passi che non sono scritti, il colore e il profumo suo e di quella tovaglia, il suo viso, il filo di trucco, il pallore, la sua ansia, la sua bellezza. Questo senza scriverlo. Con poche informazioni il ragno Miller dispensa manciate di vita. Con grande infallibile generosità.
Continuando dal punto interrotto:

"Mandra siede sul letto nuda, guardando intenta in un lungo specchio ovale alla parete. Ella ha gli occhi di un gatto siamese, con due sottili tagli lungo il centro delle iridi".

Mi fermo ancora. Questa figura è già parlante. Con un rintocco semplice, è il caso di dirlo, Miller soffia in quel viso e in quello sguardo una manata di mistero animale, penetrante e umido. Davvero vivente. Una figura vivente, solo con poche parole, di un'esattezza vitale e non matematica.



"Sorride a se stessa come se sorridesse a un'estranea".

Questo punto lo trovo meraviglioso; io lo avverto davvero incandescente. Sentirsi proiettati verso l'esterno quando si scivola verso l'interno. È un pensiero molto profondo, credo che sia anche molto cinematografica questa immagine di un sorriso esterno che si mischia a quello accennato di chi si specchia, quasi come se nello specchio la stessa persona sia già un'altra; infatti, continuando, dice:

"Parla alla propria immagine senza riconoscersi. Sul letto il suo volto è triste; nello specchio è sorridente. Parla ad alta voce, irosamente; gesticola, ma il viso nello specchio sorride con un sorriso triste, inscrutabile. Si alza e avvicinandosi all'immagine nello specchio, fa gesti di scherno che sono riflessi dai gesti grotteschi e legnosi di una marionetta".

Ciascuno trarrà le sue sensazioni e le sue considerazioni su questo passaggio, che ho trovato incantevole per  il tipo di intimità e di introspezione che Miller riesce a dare a dettagli fisici, a movimenti e non solo a pensieri e a respiri. Le due figure si muovono nel contrasto del riflesso e sono insieme nell'armonia; nell'acqua e nel fuoco insieme. Così la sua scrittura. Una continua dissonanza che si risolve sempre da sola, senza sforzo e spesso senza nemmeno deciderlo e volerlo.
Leggere Miller, qualsiasi cosa di Miller, è una sensazione inappagabile di libertà e di leggerezza (l'acqua), ma anche di profondo contatto, di sogno e di coraggio (fuoco).
Per me è stato da sempre così:

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