lunedì 7 novembre 2011

Libri e lettori e scrittori. Scrittura e amore per la scrittura.

Molti libri si avvertono quando non ci sono, spesso molto di più di quando li stai leggendo e li hai davanti agli occhi e tra le mani. Questo non avviene spesso, ma quando avviene è il segno che è successo qualcosa di inspiegabile, che ti riporta verso quel luogo indefinito, impalpabile, creaturale, che è un linguaggio scritto.
La fase di attrazione può rivelarsi nel periodo della lettura, in momenti della giornata fra i più svariati, dove l'idea di ritornare alle pagine interrotte può significare un approdo, un appuntamento segreto con una propria parte lasciata in attesa, un'amante, una sala corse o di ballo, ricolma di fumo. Molte volte, il lettore e lo scrittore, durante la pausa e in tutto il resto del tempo in cui il luogo libro rimane chiuso, rimangono sospesi in un luogo terzo, che non è più il libro, ma nemmeno la vita reale, ma l'intercapedine tra i due stadi, dove avviene l'effetto o l'affetto di risonanza nella distanza, e dove si svincolano le stesse pulsioni creative di chi scrive. Anche il lettore in quel momento è toccato da quel magma che ha creato ma che continua a creare e a crearsi, attraverso la sua attenzione e tutti gli effetti successivi e imprevedibili di quelle parole nella sua vita. L'effetto della risonanza può avvenire anche a libro finito, per un certo particolare di richiamo, una consonanza, una coincidenza o stravaganza. Una sorta di esca naturale di finzione, che si avvinghia al proprio vissuto dopo un lancio maestro di surfcasting. Lo scrittore in quel caso ti ha toccato. Un grande libro è una mano addosso nel buio. Non ti dà il tempo di pensare di chi sia, anche nel balzo sei sorpreso, ferito ma preso.
In altri casi, lo stesso desiderio di ritornare nel luogo della lettura, è lo stesso a desiderare che quel momento si protragga il più possibile, non avendo la certezza che con una nuova esperienza di lettura, il richiamo possa ritornare con quella stessa forza ed efficacia, o con quello stesso fascino, tenerezza che sia. Per cui si è tentati di rallentare, di scanzonare e lasciar perdere, per amplificare l'effetto e sperare che quell'amico che ti sta aspettando non muoia mai. In effetti in un'esperienza profonda di lettura, si toccano e si vivono i passaggi fondamentali dell'attacco, del distacco e della perdita. 
Uno scrittore che riesce in questo, a conquistare un momento di un'altra vita, lo farà con strumenti invisibili, che quasi mai saranno connotati in sistemi o metodi precisi.  Più sarà incastonato in un mondo di simboli perfetti, scorporati da tutto quello che non si vede e che non si sente ancora del suo movente di espressione, e più si perderà l'inizio dello spettacolo, dove la torcia della maschera non arriverà. 
Scrivere con un certo stile, non garantirà di essere lancinanti in un momento della giornata, e per ciascun lettore al mondo, avverrà una diversa sensazione alla separazione momentanea dall'esperienza letteraria. E lo stesso impulso o desiderio di arrivare a qualcuno, sarà fallimentare, così come lo stesso lettore non avrà un metodo per riconoscere o trovare il libro e lo scrittore che lo attraggano nel vortice.
Credo che è nel circuito di questo sogno, che il leggere e lo scrivere devono nutrirsi e completarsi, nello stesso alveo creativo dove il pensiero narrato non è più possesso, diritto, territorio esclusivo, ma diventa ancora dell' altro. 
Le parole e le loro regole, giunte alla superficie cosciente, alla clausura del vocabolario, hanno già esaurito la carica vitale del primo sforzo imploso. Hanno già perso la testimonianza corporea del dolore di dire – adesso pensando al bellissimo convegno di Cistelecan, a cui ritorno spesso, forse nello stesso agguato. La regola dell'espressione è sempre dettata dall'ostacolo e dal dolore di dire e di dirsi, e non dalla codifica del dire giusto. E dal non detto, come certezza e cantus firmus di chi dice. Il contratto a vita con un certo tuo mai, che pensavi di svelare ma che ti rimane dentro. 
La scrittura è un processo di grande intimità con la vita, con il proprio approccio sensitivo alla vita, e alla necessità di tradurlo o di deformarlo in una particolare forma di linguaggio possibile e imprevedibile, quella che traumatizza l'atto creativo. Non credo che si possa sperare di essere felici in un'esperienza del genere. Personalmente ogni attacco a un testo, soprattutto in forma passiva, di rielaborazione e di processo organizzativo, è un trauma, una molestia, una maledizione. E se arrivi a dire davvero, non sarai mai capito. A volte come, o peggio, di una fila di ore alla posta, di una telefonata indesiderata, non appena varcata la soglia di casa.
Non credo di scrivere per amore della scrittura. Non posso amare la scrittura più di quanto possa amare la mia merda. Non credo al gesto romantico della passione. In fondo, al dunque, è un affare pieno di pericoli e di insidie, perché non è controllabile e ti spinge a dover dire quello che speravi volessi dire, e lasciare in un autobus di notte con la scritta deposito, tutto il tuo non detto, che darebbe il senso a tutto il sogno del viaggio. Non credo all'amore per le parole. Non posso amare le parole, le mie parole. Vanno amate le persone, i cani randagi e i paesaggi, ma non le proprie parole. Non ha senso amare le proprie parole. Devo partire da altro, dal mio trauma inespressivo, dove si può sperare di riprendere il contatto con il proprio linguaggio. Un affare molto interno e privato, che non c'entra con l'amore. 
Dove si è soli. 
Senza questo piccolo particolare, le parole non sono e non saranno nulla. Zampe di insetti. Per cui nessun sistema, assioma o corollario al mondo, potrà sperare di creare una speranza di richiamo, quando il libro è chiuso e si investiga solo sul codice dello strumento, e non sull'universo ferito dello strumentista.
Nell'intervista al regista Peter Weir, in relazione al suo film "Picnic at Hanging Rock",  si parlava dei personaggi femminili, quelli che poi si perderanno durante la gita, come creature capaci di vedere le fate. Fin dal primo mattino, quando si pettinavano e si allacciavano a vicenda i corsetti, avvertivano il presagio della perdita ma anche della bellezza. 
Non credo che vi sia esempio più calzante, per definire lo spettro di visione necessario per un affare creativo, e per una perdita...Dove non c'è e non ci sarà mai piede.
Scrivere è andare così dove non si tocca, e anche leggere. Sarà quello allora il luogo del richiamo? Quello dal quale sono partito? Una sala corse o di ballo, ricolma di fumo...

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