mercoledì 16 novembre 2011

Mi auguro

Identificarsi con le proprie parole, barricarsi in un regno fatto di sole parole, come in una villa isolata e piena di luce. Anche se perfette, armoniche,  funzionali agli intenti più alti e raffinati, queste parole saranno l'inizio di un incubo se non accompagnate da altro, che sia inscrivibile e impensabile. La soglia suprema per addentrarsi dentro un incubo.
Mi auguro che un processo di scrittura si snodi nel mistero e non nel misero di un solo luogo codificato e ambìto perfetto. Io scrivo parole perché queste parole siano perfette e mi rappresentino superiore e perfetto attraverso di loro. Benissimo:
scrivo per la mia idea di bellezza? Scrivo per la mia voglia di seminare bellezza? Credo di conoscere tanta bellezza da poterla condividere, o da dettare leggi in merito? 
La bellezza vera non ha luoghi definiti e va cercata e avvertita al di fuori dell'esercizio. Va vissuta. Quando si è storditi dal colpo di nuca della bellezza, dopo aver divorato spaghetti, luna park notturni nei lumi di carta, lunghe passeggiate solitarie senza una meta, e forse si avrà qualcosa da raccontare a qualcuno. La grammatica nel bello è dentro la scatola di Faulkner, dove dentro ci sono le stelle del cielo. Una scatola da tenere aperta e dove mettere la bocca e ingoiare lo sputo freddino del blu, prima di spegnere tutto e addormentarsi stremati in una notte dolce di temporali. La musica contemporanea e quella dei pastori, l'arte, i disegni incompleti dei bambini, le righe storte e l'odore forte del sipario di un teatro vuoto, il vento finto sulla scala mobile e quello stregato che sbatte nelle cosce grosse di un bosco, saranno il mio luogo di bellezza e di ignoranza davanti al bello, come di impotenza davanti a un fenomeno violento della natura. Il mio ricongiungimento tra reazione di eventi vissuti – senza volontà di registrarli – e relazione di conoscenze e congruenze.
Descrivere la luna dalla parte di un lupo e non più del poeta, è l'unica speranza per sentirsi moderni, senza fare i moderni. La più ardua, perché è preconcettuale ma ha poi bisogno di codifiche leggere. 
Lo scrittore non aspetta l'uccello sul ramo, con la macchina fotografica, ma diventa quel ramo, fino a spezzarsi, quando il volo del volatile succede allo sparo o alla fiondata di una sassaiola.
Mi auguro che non ci si senta vivi e pulsanti per quello o per quanto si è scritto. Se questo avvenisse, il mio sangue sarebbe nero e vestito a lutto. Non posso sentirmi vivo solo per quello o per quanto scrivo. Ma per come e per quanto vivo. Ancora troppo poco. La fame, la fame dovrebbe aumentare, nelle ginocchia, una fame di qualcosa di ignoto.
Uno scrittore non dovrà misurare la sua vita sulla quantità e sulla qualità delle sue parole scritte, ma sulla fame dell'esistere.
Non può sentirsi invisibile quando il foglio è bianco come la neve. La bellezza e la quantità delle sue parole, saranno la conseguenza di un regno privato e benefico, fatto di tanto altro, di cose imprecise, disordinate, erronnee e incompresibili, ma necessarie per dare un senso alla ricerca consapevole di un ascolto. Quando scrivo io mi ascolto, e allora mi basto. Il resto, intendo quello che accadrà, sarà sempre inferiore alla capacità di ascoltare il radar della mia esperienza autentica nell'atto di uno sviluppo. Il grosso rischio, che avverto, è cercare l'effetto e l'affetto di un'esperienza attraverso l'esercizio delle parole. Dare alle parole il contenitore e tutto il contenuto dell'esperienza. Sperimentarsi attraverso il luogo e l'esattezza logica delle parole e non dedicarsi anche al passaggio antiutilitaristico di una visione analfabeta e primitiva delle cose. Un nudo di donna negli occhi di un orco ubriaco, la coda di un cane o di una cometa davanti a una vecchia che fila la lana e prende sonno, il tutto come giallume sparso di un limoneto, da cui succhiare l'odore e bruciarsi gli occhi. E sentire tutto il possibile con fame, prima di dire del proprio morire di amore per quello che si vede e che ci sarà poi da dire, e non per come è bello quello che si scrive. Il pavone non conosce la sua ruota. La sua ruota conosce il pavone. 
Dire quello che avviene e non quello che conviene.
Mi auguro che tutti questi propositi, nel mio caso, non rimangano soltanto parole.

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