giovedì 15 aprile 2010

Masquerade (Bozza esemplicativa di fatti assolutamente immaginati dall'autore, ma del tutto sconsigliata a soggetti sensibili)



[Questa struttura narrativa per le tematiche affrontate e alcune particolari sequenze, è assolutamente sconsigliata a soggetti sensibili e impressionabili]
                                                             
                                                Masquerade

Temperatura dolce, la provincia troppo esposta alle campagne sventola e smuove le foglie e fino alle dita dei rami nel buio: siamo quasi sotto il cavalcavia e ogni tanto i fari ti fanno rossa e gialla e poi nera, quando passano e vanno via e quando mi stringi e non ti vedo più: dal cruscotto l'effetto acustico della tua voce che quasi dorme accanto alla tua scarpa blu. Gli occhiali tuoi li ho messi in tasca, insieme alla luce stanca dei piccoli occhi, per non sporcarteli che sono nuovi, devo stare attento a girarmi sul fianco, non vorrei spaccarteli, ma stasera siamo nervosi tutti e due. Mi hai baciato dal naso e poi mi hai stretto il polso, perché sentivi freddo. Ti  ho detto che il piercing mi infastidisce ma tu ci giochi lo stesso e allora ho finto di non sentire. Sei uscita per fumare e poi per fare la pipì. Hai cominciato a saltellare su di un solo piede e poi a fischiare. Io ho abbassato la testa, sorridendoti e distrutto. Con una mano sistemo il tuo sediolino. Ogni tanto mi giro per vedere dove sei finita, il mio dolcecieco colibrì, ma poi crollo, chissà se ce l'avrei fatta a guidare. Un giorno che mi hai chiesto perché io ti amassi, io ti risposi perché non vedevi a un palmo dal tuo naso e adesso volevi dimostrare il contrario, forse per metterti alla prova o farti amare ancora di più. Ancora il tuo bel fischino intorno, il pensiero di domani poi di te che vuoi sempre sgranchirti e di mia madre che deve fare le analisi e devo svegliarmi prima e accompagnarla, forse sarebbe meglio andare quando dal vetro appannato scorgo un' impronta di cinque dita: fisso lo specchietto: una mano aperta, in tensione: forse una vecchia impronta, la mia stessa distratta, ma non mi sembra il mio palmo, e neanche il tuo. Come faccio a capire se sia fresca un'impronta del genere. Potrebbe stare lì da giorni e rianimarsi per la patina dell'umido. Chi ci ha mai fatto caso, poi, e pensando ancora al perché tu sei scesa senza gli occhiali, volevi rimanere più bella senza intervallo e sento i tuoi passi ormai più lontani,  adesso su tutti e due i piedi e ancora di più, quando qualcuno mi spacca il vetro laterale posteriore sinistro con il pugno, ma tu non senti niente. Un fragore da inferno, sento le schegge nella schiena, sul collo, d'istinto metto le mani sugli occhi quando il braccio del colpo mi raggiunge e mi blocca, dal buio del suo guanto, afferrandomi alla gola e comincia a parlare in modo metallico, frasi a scatto come coltelli a serramanico. La temperatura del mio corpo si fonde con la sua: penso subito a una scheggia impazzita del gruppo dei sette, quelli che ogni tanto  compaiono nella perfezione dei loro raid. Sette cappotti uguali, ciascuno una maschera di donna diversa che sorride, camicia diplomatica e papillon rossi; l'ultima volta hanno  massacrato una famiglia intera di una delle villette a schiera del parco Argus, cooperativa con appartamenti ancora freschi di pittura, ancora molte esse bianche pittate sui vetri neri, pochi condomini ma danarosi. La notte dopo il ricevimento di due comunioni di due fratellini, con l'oro ancora fresco per casa: i piccoli bambini appena santi, crivellati di colpi nei pigiamini, una nel letto l'altro che era in bagno a lavarsi i denti, la fragola del sangue sulle catenine che avevano ancora al collo. Stesso destino padre, madre - crollata di sonno ancora con le scarpe alte ai piedi - e cameriere filippino. Al mattino presto hanno ordinato la colazione a domicilio per tutti: con giornale, rosa rossa, cioccolata bianca per i bambini.
Forse questi due qui sono parte autonoma o impazzita di quell'ala violenta che tornava sul territorio in periodi e fasce isolate e a debita distanza per  rinforzare il rinculo e il clamore agli ultimi massacri appena dimenticati. Penso ai possibili due di quei sette e lo sterno è squarciato da una corsa furiosa di cani levrieri:
"Non muovere la testa, che non ti faccio niente. Non gridare, ho detto fermo con la testa! Adesso fai entrare il mio compagno, non devi dire niente e andrà tutto a posto, che così non si fa male nessuno", intanto la sua voce mi paralizza, è quella di un corvo o di un televisore rotto con il segnale disturbato. L'altro entra e mi arriva vicino. Mi comincia a tastare, ha una maschera davanti agli occhi e una sciarpa fino al naso. Non vedo armi, ma le sue mani salgono e scendono, su tutto il mio corpo, poi arrivano alle tasche, intercettano gli occhiali da donna. Ho ancora una mezza erezione, non so se ne accorge, ma sembra avere fretta: rimane mirato nelle possibilità delle quattro tasche. Quello che ha rotto il vetro mi molla la gola e poi rimane fuori, forse nell' attesa che ci sia bisogno di lui. Ma io sono pietrificato, di solito si rimane pronti per qualche sciocchezza della vittima, se le prende una sacca di angoscia incontenibile che mi sento svenire ma riesco a non gridare. Adesso penso a te. Il complice ha le mani lunghe e gli occhi grigi. Non è molto alto, né robusto, si muove bene. Sta masticando una gomma, agita i muscoli facciali dalla sciarpa nera che si sforma e mi dilania di ombre cinesi dell'infanzia negli occhi sbarrati. L'abitacolo è intriso del suo odore che si fonde con il tuo, delle erbacce prative della campagna che traspirano dal vetro e della sua gomma che si sente anche dal suono della bocca imbavagliata e si fonde con l'acqua di colonia che forse ha passato nei capelli, e intanto penso a dove sia finita tu con la tua vescica gonfia di orina e la bocca di nuovi baci interrotti come la nostra piccola cena di wafer, sperando che tu  non ti avvicini troppo prima che vadano via, forse potrebbero anche credere che io sia in macchina da solo.
"Che diavolo sono questi?".
"Occhiali, sono occhiali da vista".
"E perché li tieni in tasca?". L'altro, che era rimasto fuori si avvicina, si abbassa e mi guarda. Comincio a sanguinare dal collo, ma non  me sono accorto subito. L'uomo che è già dentro, quello della gomma, che già sento l'odore di menta ghiacciata o pinete di giugno nel cervello, mi apre la mano in tasca ed estrae le tue lenti:
"Perché li tieni in tasca?".
"Li metto solo per la guida, non c'è bisogno".
"Fai un po' vedere?", dice l'altro che stava ancora sull'uscio, appena curvo e accigliato. Glieli passa gli occhiali, li apre e mi chiede di metterli.
Io esito, poi osservo la vena sgraziata di follia nei loro sguardi gemini e così li metto sul viso, così improbabili, più piccoli e femminili per il mio calco maschio e stordito. Per un attimo sono te, con la tua espressione viziata e spiritosa, dalla tua bocca ancora vicina il profumo di parole classiche e sempre così limpide e sofisticate, anche con il piercing sulla lingua, sono rimaste uguali.  Se ne accorgono, anche nella poca luce, che gli occhiali non sono i miei. Il più piccolo dei due, quello che aveva anche la gomma:
"Sono da donna, che diavolo ci fai con gli occhiali da donna e dai vetri così doppi? Questa come si fa fottere con questi occhi da topo d'acqua? E poi te li lascia? Ma è una matta, allora?".
"Dov'è finita la tua topastra cieca, avanti, pochi scherzi!". Poi la pistola. La caccia da dietro, la vedo grossa come un coniglio selvatico. Non riesco a guardare, non ha la mano troppo ferma o è una mia impressione o il  mio stesso tremore che mi prende lo sguardo. Non avevo mai visto una pistola così vicina. Sembra una cosa viva, come te nella macchina fino a poco fa: l' occhio-bocca della canna, nero come uno dei tuoi occhi piccoli, che meno tu ci vedevi e io più ti amavo: verso di me.
"Sono da solo, vi prego ditemi quanto vi serve...non c'è nessuno insieme a me, lo giuro!".
Il più piccolo dei due allora mi prende per i capelli, dal lato frontale e mi tira la testa all'indietro, con gesto deciso: "Avevamo stabilito delle regole: adesso ci dici dove è finita e la smetti di sparare cazzate che noi qui stiamo lavorando: altrimenti ti apriamo la testa, non è così?".
Sono senza fiato, la sua mano ancora sulla faccia, i capelli ancora spettinati, quando in lontananza mi sento chiamare: la tua voce nel buio: "Fulvio? Accendi un po' i fari, che non si vede più niente! Guarda che non ho nemmeno gli occhiali...stai attento a come ti muovi, che li puoi spaccare. Non dovevi metterli in tasca". La mano mi lascia, nel tempo esatto dell'inciampo inatteso della sua voce.
I due adesso si insonorizzano, uno scatta dietro e si abbassa, l'altro prende gli occhiali e se li scaglia nella patta del pantalone, sputa la gomma e si stende accanto al compagno con la pistola: forse il colpo già in canna. Con un sorriso: "Mi sento i suoi occhi addosso, sono giusto tra le cosce!".
"Allora, amore, che  cosa c'è? Perché non parli?".
Non vedevi niente, a quell'ora poi e senza occhiali: non avevi nemmeno visto che il vetro era spaccato e che quei due si fossero abbassati o mezzi distesi dietro. Quando hai iniziato a parlare mi sono sentito la bocca gelata della pistola scivolarmi sotto la maglietta e raggiungermi la schiena già nuda -la canottiera me l'avevi sfilata già tu. Un bacio di ghiaccio metallico muto al centro dei reni, che mi raggela il cuore, ma ancora non ci arrivi. Così entri, sfocando. Io sono immobile e ti  guardo per l'ultima volta, senza riuscire a lasciarti un segnale. L'ultima volta nella mia auto e nella tua vita...
"Ma che faccia che hai? Dammi un po' gli occhiali, che così non mi sembri più tu..."
"Gli occhiali tuoi li ho messi in tasca, che sono nuovi, devo stare attento a girarmi sul fianco, non vorrei spaccarteli, ma stasera siamo nervosi tutti e due".
"Dammeli, che voglio vedere se ci sono le luccioline stanotte, ho visto il bagliore, prima...non mi credi proprio mai tu?".
l.s.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Scritto da fare venire i brividi, si avverte il respiro corto, il sudore sulle tempie... la paura.
Momenti indecifrabili quelli che vive il tuo protagonista. Spesso leggiamo titoli di giornale, nomi sconosciuti. Pensare che sono loro, con un percing, un occhiale da miope... la voglia di fare l'amore... e qualcuno ruba tutto questo!
Stefania

Anonimo ha detto...

Sarò banale e sarò ripetitiva ma io continuo a pensare che la tua scrittura sia molto cinematografica. E' talmente minuziosa e particolareggiata la descrizione/creazione dei caratteri e degli ambienti che pare di vederli, poi non lascia possibiltà di riflessione, ne sei agguantato e provi le emozioni evocate di volta in volta in prima persona, io ho provato davvero paura...
L'attacco poi è magico, da perdercisi!;-)

Rosanna

Daniela Fariello ha detto...

Un racconto che cattura al punto che sembra di star seduti lì, in quella macchina e poi fuori e poi di nuovo dentro ad assistere all’assalto degli uomini mascherati, alla ricerca inconsapevole degli occhiali, alla fine di quella dolce e terribile sera. È vero, sembrano scene di un film che si muovono intorno al lettore.