sabato 17 aprile 2010

Masquerade e il mysterium dell'affettività

Ho scritto questa storia terribile per inventarmi suo nemico e proteggere i miei amici da lei. Per amarla e poi tradirla, e forse pentirmene, di averla scritta e poi tradita.
Sembra una follia, ma forse "Masquerade" mi è scoppiato dal cuore per essere negato e tenuto nascosto, come un parente povero e scomodo o una fidanzata strabica, o un'amante clandestina. Eppure è un lavoro che amo e che temo, con la stessa intensità, perché parla e si nutre di sensazioni profonde e sdoppiate. Ci ho pensato a quanto ci siamo sfiorati, amati, cercati con questa storia, che alterna picchi di incubo con spianate di tenerezza infinita, forse ancora più spaventose dei primi, se analizzate nell'insieme del contesto. E ritornando allo strano movente della sua natura doppia e inquietante, ho scoperto con stupore di aver avuto il coraggio, per la prima volta forse, di cominciare a comunicare in profundis il mio mondo affettivo. Può sembrare paradossale, ma questa storia terribile è tutta imperniata sull'affetto. Mi piacerebbe andare per gradi e motivare, nel mio relativo possibile, le motivazioni di questa mia convinzione, anche se per i lettori amici e disubbidienti, potrà risuonare come assurda:

Che cos'è l'affetto?
Queste sono domande che mi pongo di nascosto, diventando ombroso e fascinoso come il viscoso incedere di questa struttura narrativa che mi ha stregato e segregato nelle sue spire. Partirei dall'ortodossia della definizione più classica:
Affetto ha un'origine nobile e latina: affectu(m) deriv. di afficere che significa colpire, provocare uno stato d'animo. Allora, mi fermo già qui: l'affetto è un colpo? Nelle sue origini ha una forza motrice incontrollabile e violenta, e in fondo nella mia vita mi devasta, è proprio un colpire, e in un secondo momento dagli effetti dello stordimento si irradia uno stato di celebrazione e diffusione di sensazioni verso l'altro. Forse anche il senso della mia scrittura è una forma oscuramente "affettuosa". Il colpo e la provocazione sono i due termini principi dell'infinito di afficere, e forse da loro, misteriosamente, comincia a prendere forma l'incubo di "Masquerade". Seguendo la logica  da dizionario, l'affetto, senza avventurarsi in nessuna branca troppo specialistica, ha già cinque tipi diversi di definizione:

1) Sentimento di vivo attaccamento a una persona o a una cosa; bene; affezione.

2) (estens.)l'oggetto di tale sentimento...

3) più genericamente, ogni sentimento intenso: eccitare, muovere gli affetti.

4) (lett.) desiderio, aspirazione.

5) (psicoan.) qualsiasi condizione affettiva, piacevole o spiacevole, acuta o diffusa.

Per non dimenticare che dalla stessa radice di afficere, ricaviamo l'aggettivo affetto: in questo colto, preso da un sentimento (malinconia o spavento) ma anche da una malattia. E in questo caso il raggio si estende e si irradia di una serie di intrecci e possibilità interessanti. E pensare che la forma antichizzata dell'aggettivo si rifaceva addirittura a qualcuno che  è intento o assorto, forma che sento lontanissima dall'idea e dall'abitudine al sentire affettivo.
Dopo questa premessa, mi permetto di confermare che nella storia si intrecciano e si fondono le volute e le possibili varianti di afficere, senza esclusione di colpi. La dinamica dell'affettività come forma suprema di espressività (1) ma anche invalidità di una prigionia (3 e 4) o scivolando appena verso l'alveo psicoanalitico: il mistero di una condizione umana mutevole e sottoposta a mutazioni e burrasche. "Masquerade" vola basso come un rapace e cerca di cavare il verme dal mio apparato percettivo attraverso l'estrema tecnica di aggressione nel coinvolgimento emotivo, (a volte o forse quasi sempre io non riesco a guardare negli occhi per più di due secondi le persone che sento e amo di più, mi confondono e davanti a loro non riuscirei a fare nemmeno un caffè, quando le sento davvero dentro diventano i nemici di una parte di me e così divento e invento il mio timido stile nei miei personaggi più riusciti che non resistono come me allo sguardo degli altri e così all'infinito, fino a non guardarsi ma a sentirsi di più nel buio atroce dell'evitamento, proteggerli per proteggermi) forse perché rivela una componente di oscura invalidità nell' immaginarmi in eterno dentro un solco affettivo che avrò perduto da bambino dietro l'uomo dei palloni o chissà dove, e che determina dei grossi stravolgimenti ma senza il quale non avrei avuto le vedute o i paesaggi durante il  viaggio. Mi sembrava giusto puntare la radice per esaminare il getto e le dinamiche successive.

La storia e i luoghi degli  affetti
 In questa prova narrativa, ho provato a cercare fin dall'inizio la sensazione di inafferrabile che la stessa affettività irradia nel mio sensibile. A volte lo avverto un luogo estraneo di sconosciuti o il collo di una donna da raggiungere di spalle o la casa degli spettri e un soffiare nell'occhio di un altro. L'affettività è molte volte un ambiente di estranei (il terribile gruppo dei sette) nel quale ti trovi senza la tua volontà dove devi necessariamente perderti per poi ritrovarti. Un disagio e la mia più grande ricchezza nel patirne le dimensioni onnipervadenti. Quanto dista una dipendenza da una forma affettiva secondo la classica condizione di un colpo o di uno stridio di redini al mio collo o ancora una forma tenera di scambio e purificazione verso il mondo emotivo degli altri che incontro lungo la mia strada. Il mio luogo affettivo diventa così coronato da un contrasto costante, dove ogni forma di piccola ritorsione alla mia pace diventa il regalo inatteso che non pensavo di incontrare, a volte anche lo sguardo torvo di un aguzzino nei miei ritorni tardivi, in quello che ho perduto e ho mancato. Il luogo della storia è intriso di una solitudine sconfinata: un auto nel buio sotto il fermento opaco di una statale di fari ( "...e ogni tanto i fari ti fanno rossa e gialla e poi nera"), o in un appartamento soffocato nel pettine delle villette a schiere, la visione sfocata della ragazza senza occhiali, hanno in comune un luogo di abbandono dai colpi ma anche dalla grazia di una dimensione sognante di affettività, la ricerca di proteggere e sentirmi protetto dal mio proteggere, emozione commossa e stupita ancora avvertita invece a intermittenze, nel fastidio delle luci notturne poco dosate, dell'incubo di una distanza imposta, del continuo rischio di rompere gli occhiali da donna conservati in una tasca, che è lo stesso che corre il bambino del parco Argus quando si alza di notte per lavarsi i denti (potrei essere io?). Ricostruendo questi sprazzi, come da fotogrammi spezzati, rileggo l'affettività come dimensione sinergica e urticante con la relativa dimensione dell'abbandono: come se il secondo nutrisse l'altra di dolcezza e di veleno. I luoghi oscuri degli affetti saranno allora il nostro destino obbligato o una corsia preferenziale? Quanta paura nel cercarli!  Dalla collocazione della loro origine otterrò il passaggio clandestino e  illegittimo alla successiva destinazione, e quanto potrò vivere un affetto di intensità più ampia verso la mia vita e verso  i miei grandi amici più veri da rinchiudere ciascuno in una porta del mio cuore e senza l'incudine minacciosa del suo colpo alla mia nuca o della nausea di un flutter atriale -il dolore di avvertire gli altri troppo, di piu? La paura che possano farmi del male? (Mi raccontano che fin da bambino "sentivo" troppo le emozioni e così mi facevo da parte).  E la prima colazione offerta in perverso anonimato dal gruppo dei sette è proprio l'azione perversa e perturbante che continua a raggelare di contrasti il paesaggio ormai esasperante delle mie private sequenze cognitivo-esperienziali? Ogni attimo di quella storia è intriso di questa double face, costante e amara di amore e di paura verso l'altro.

L'immagine sfocata

C'è la ragazza della storia che avverto come cantus firmus su tutto il senso  profondo e affettivo della storia. Una forma profonda di affetto è resa meravigliosamente e in proporzione più grande e più intensa quanto aumenta in progressione l'ostentarsi e l'appariscenza dei proprio limiti contestuali:
("Hai cominciato a saltellare su di un solo piede e poi a fischiare..." "Un giorno che mi hai chiesto perché io ti amassi, io ti risposi perché non vedevi a un palmo dal tuo naso"). In effetti la tenerezza di una fragilità nella mia vita sono un pericolosissimo segnale di innamoramento verso l'altro: la  bellezza di una ragazza bruttina, distratta, confusa, che scoppia a ridere e che ha una spalla appena più bassa dell'altra (Gli autunni di Gursern) o con i capelli davanti agli occhi che prova paura (La compagna di classe) o con un cuore da trapiantare che cerca di amare per l'ultima notte e forse anche la prima della sua vita (Fanny nostalgie) forse riconducono alla stessa matrice di incanto del piccolo, dell'albero ferito da un lampo che ha la fioritura più dolce anche se non fiorirà più. E con "Masquerade" approdo con maggiore violenza a un preciso punto di non ritorno. Tutto questo potrebbe morire sul più bello o invece consolidarsi nella stessa dimensione di perdita, ma avere comunque un senso, e paradossalmente il pericolo di una morte affettiva è il maggior fattore di propulsione per darle carburante e dedizione. Io avverto il bertolucciano "sanguinamento" in tutte le mie dinamiche affettive ("la fragola del sangue sulle catenine" sarà forse un topos?) e a volte è l'unico modo per avvertirsi e per perdersi davvero nella purezza di uno scambio e nel suo rischio? E allora nell'orrore della storia, scatta l'allarme per un disagio o l'incesto di una miopia  e di baci rubati  ancora una volta con i miei sogni e quello che ancora non vedo o che ho perduto di me ("...e pensando ancora al perché tu sei scesa senza gli occhiali, volevi rimanere più bella senza intervallo"; " d'istinto metto le mani sugli occhi quando il braccio del colpo mi raggiunge";"che meno tu ci vedevi e io più ti amavo"). In fondo ci sono arrivato a una certa distanza, ma rimane la volontà di espormi al rischio, perché in fondo ne vale la pena.

Psicologia dell'agguato negli affetti

Tutta l'atmosfera è imbevuta di un senso precario, come se per ogni più piccolo bacio ci fosse un prezzo sempre troppo alto e sproporzionato da pagare. Nella tensione dell'agguato, ho ritrovato una sensazione chiara dell'attacco continuo e ostinato alla mia sfera sensibile del disagio emotivo e allora la storia ha intessuto la sua trama sacrificando i più deboli e sfoggiando in cambio le mie paure come diamanti o esorcismi. Ma sono davvero in  diritto di reclamare un'eternità al mio sogno sensibile e mai sazio, all'onestà del mio desiderio, del mio piccolo istante di condivisione? Quanto è lontana la logica dell'agguato esterno dalla sensazione di lontananza della ragazza che saltella con un solo piede e senza gli occhiali, dall'auto verso una zona più oscura e ancora inconoscibile ( forse una delle scene più tenere e terribili che abbia mai scoperto e affinato dal mio immaginario; presagio di morte; mutilazione dell'amare incondizionato). E ancora il fischio che ritorna nella notte è il segnale di pericolo, il controllo perduto sulla carrozza delle mie emozioni o uno squillo di morte e di desiderio di un infinito velato che non scorgo e non so  già più? ( La petite mort).
Non so se riuscirò a rispondere, ma procedendo a ritroso o a tentoni nello stomaco buio della storia, adesso rimane ancora il nodo e la minaccia del titolo: "Masquerade". Forse le molteplici sembianze che devo adottare per trovare un compromesso tra la sensibilità e i dettami o dittature di un reale, che forse a volte si maschera di una dolcezza inattesa e pungente, ( l'acqua di colonia passata nei capelli, la colazione per le vittime con la rosa rossa) in altre invece sono le parti più vicine a me e più confidenti a diventare minaccia. Ma l'agguato allora è dentro l'affettività, il colpo della sua radice è sia dentro l'auto che dentro il parco Argus?
Queste rimarranno ancora domande, e trovo  giusto che sia così. Al momento è bello che ciascuno ritrovi in una storia le sue piccole risposte, i suoi stimoli, come  il mio dolcecieco colibrì riuscirà fino all'ultimo a scorgere il baluginare delle lucciole nel mio buio.
Ancora una volta una speranza. Anche piccola, ma comunque una speranza.
l.s.


1 commenti:

Anonimo ha detto...

Masquerade!
"Alla faccia del bicarbonato di sodio!"
Ti vorrei chiamare maestro.
Sono lezioni vere e proprie quelle che regali, nello sviscerare i tuoi scritti.
Lo fai con disinvoltura, ti viene spontaneo, ma credimi non e' da tutti.
Questa storia credo che sia la più bella che ho letto, e credimi, le altre mi piaccevano molto!
c'è la parte geniale di te in questo scritto, forse non lo sai, ma è così!
Grazie maestro!
Con stima sincera
Stefania