martedì 10 febbraio 2009

"Casa d'altri" e la magnificenza dell'oscuro




Scopro Silvio d'Arzo attraverso un percorso oscuro ma intriso del suo stesso tragico fraseggio, proprio come l'ossatura della sua scrittura. Forse la Camera da letto bertolucciana, la geografia e la nitidezza dei suoi grandi-piccoli interni, sarà stato il diamante padre per questa scoperta lenta, stagionata nella pazienza della sua ricerca. Il libro lo trovo sepolto, unico il mese scorso, in uno scaffale di narrativa di una grande libreria del centro. Volevo trovarlo da me, senza chiedere.
"Casa d'altri" è un capolavoro di perfezione, giudizio confermato tra l'altro dall'autoverolezza di un Montale, e non è poco. La parole del racconto solcano come incudine e lanterna nel cupo del montano emiliano, gli ambienti e l'animo umano in un unico soffio enigmatico e sospeso di mistero e di piccole luci. La tensione narrativa, la freschezza delle trovate, l'occhio della natura, i suoi movimenti di sguardo, ma soprattutto questo aspetto costante di oscurità delle tinte del paesaggio, dello sforzo di resistenza del sole indebolito dallo spasmo di attraversare le nubi che poi diventano come prati, nello spazio di un paradisoinferno di campanacci, fornelli sui gradini, pulcini, capre e stracci, soffuse dall'intimità di un lirismo raro, privilegio di pochi polsi particolarmente felici di raggiungere e tradurre certe frequenze così impalpabili e sottili, che sono poi tradotte e ridipinte di getto nel tratteggio maestro del suo canto ispirato.
Sono questi i tratti che catturano. Una lettura con un suo tempo di musica e di penombre, cupe nel chiarore della loro scansione esatta.
Prezioso e raro.
l.s.

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