mercoledì 11 febbraio 2009

Joyce e l'analisi infinita


L'orientamento all'interno di un testo particolarmente complesso nella struttura e nella sua organizzazione, non consente quasi mai il tempo e lo spazio per analizzare troppo durante l'attacco e l'incanto di vertigine scaturente dalla sua lettura. Almeno per me, è importante l'immersione assoluta nella dinamica emotiva degli eventi, senza perdermi e logorarmi nei grossi calcoli e negli strumenti affinati della sua officina. Un po' come mi avviene con le prime stesure che getto quando scrivo.
A mente fredda invece è interessante raccogliere piccoli indizi, stralci di analisi a volte decisamente rischiaranti, come questo autorevole contributo di Angelo Marchese che inserisco con grande discrezione nel post di stamane:
"Lo stream of consciousness esprime soprattutto, per repentine associazioni di termini, il magma confuso di immagini, sensazioni, pensieri e desideri che lampeggiano nella psiche dell'io narrante.
Si veda questo passo dell'Ulisse joyciano:" Un bel sollievo dovunque si sia non tenersi l'aria in corpo chissà se quella braciola di maiale che ho preso col tè dopo era proprio fresca con questo caldo non ho sentito nessun odore sono sicura che quell'uomo curioso dal norcino è un gran furfante spero che quel lume non fumi mi riempirebbe il naso di sudiciume..." Anche linguisticamente la struttura del monologo- stream of consciousness può essere assai varia: più articolata semanticamente e sintatticamente se prevale il flusso ondeggiante del pensiero, fra coscienza e inconscio".
Estratto da l'officina del racconto. Angelo Marchese. Mondadori.
È già un tassello.
Ma l'analisi rimarrà infinita e forse insoluta.
l.s.

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