martedì 27 dicembre 2016

Zeruya Shalev e lo splendore tentacolare di "Dolore"


Zeruya Shalev

Questo libro di Zeruya Shalev, "Dolore", l'ho trovato abbagliante e assolutamente perfetto nel suo disordine. Più che parlarne, sarebbe stato più corretto da parte mia lanciare un semplice grido, semmai scrivere solo di questo grido lacerante e scomposto, come unico segno di quanto questo lavoro mi abbia trafitto e di quanto mi abbia gridato nel silenzio. Credo che si tratti di un capovaloro assoluto, che tocca, maltratta, carezza, abbaglia e stordisce, rimanendo sempre inquadrato in una struttura fervida e coerente con la sua poetica e le trame molteplici di questa sua insondabile profondità. 
Leggere libri del genere, dovrebbe far pensare a quanto andrebbe pesata e interiorizzata ogni parola, prima di metterla in gioco e di condividerla. Lo splendore tentacolare e poco rincuorante di questo romanzo è uno squarcio abissale sui sentimenti e sui misteri dell'anima dell'essere umano, dove si evince, nel contempo, che il gioco delle parole sia una delle sfide più emozionanti quanto pericolose per uno scrittore. Forse la forma espressiva più potente e immediata, quando raggiunge questi livelli. Non riesco a trovare altre parole e nessuna altra misura, al momento, per impastare nello spazio di un post una colata lavica di questa portata.
Ecco, forse, il mio grido.












































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