giovedì 25 ottobre 2012

Delle luci della sera di un tempo...(Incipit)

Questo incipit appartiene a uno dei miei racconti inediti a cui tengo di più al mondo, - al di là di quello che potrà accadergli o non accadergli o del suo eventuale o inesistente valore; tra l'altro cuore di un progetto piuttosto prossimo di raccolta, che sto rielaborando e preparando con molta cura e fatica. Non conosco la ragione di questa preferenza; credo appartenga a una questione irrazionale quanto stregante, che avverto soltanto dentro di me e che quindi, per mia fortuna, non so spiegare. 
I primi colpi:

"Arrivederci, professor Steiner!". 
"Arrivederci, ragazzi!". 
"A domani, allora, professore!". 
"A domani, a domani...se mai sarà così". 
Il tratto obbligato lungo il ritorno dal Liceo Classico Osip Mandel Štam. Quel suo saluto appena incerto o sospeso, quando incrociava qualcuno di noi. 
Era piuttosto impacciato, noi alzavamo le braccia e le voci al suo passaggio a piedi o in bici, e lo circondavamo togliendogli tutta la luce intorno, come nell'assedio di un crepuscolo. Insegnante di aspetto giovanile, timido, scapolo, sempre molto curato, Steiner viveva da solo con sua madre, poco lontano dalla nostra scuola, in una traversina elegante del corso Ottorino Respighi. Una vita tranquilla, metodica, ordinata. Una grande passione per la letteratura, in particolare per Ovidio  e le sue Tristia, ma anche per certa pittura francese. Il suo sogno era sempre stato quello di insegnare in un liceo, ed in quello era stato esaudito. 
Con noi ragazzi di terza, si era instaurato un rapporto particolare e molto intenso. Steiner era proprio uno di noi, - è così che di solito si diceva, quando qualcuno dei professori era più vicino al nostro mondo; o forse eravamo noi ad essere più vicini degli altri al suo. Sposava senza riserve le nostre cause, cercando di venirci incontro il più possibile, di istradarci alla gioia nebbiosa dell'apprendimento, alla giusta tecnica, senza mai minacce o severità, e cercando di guardare più lontano delle apparenze, contagiandoci di quella sua capacità luminosa di sguardo sulle cose, come se ognuna di loro svelasse la delicatezza di una volta stellata all'imbrunire, anche quelle più semplici, e così anche le nostre figure magre dentro i banchi, dietro i suoi occhiali d'epoca Bellamore di New Orleans, diventavano qualcos'altro da noi". 

2 commenti:

Anonimo ha detto...

......amo smisuratamente Osip Mandel'stam, più di tutto il suo Viaggio in Armenia, posso rileggerlo all'infinito....perciò mi sorprende con piacere ritrovare il suo nome fra quelli dei tuoi luoghi!
A parte le sfumature personali, l'incipit accompagna con delicatezza in un'atmosfera di sobrietà ed eleganza in cui le figure vengono a tratteggiarsi con precisione, ma pure senza perdere un che d'indeterminatezza (caspita!); procedendo per passaggi "da sottolineare" in cui si compiono preziose metamorfosi: il saluto degli studenti come l'assedio di un crepuscolo, la delicatezza di una volta stellata all'imbrunire, le figure magre dentro i banchi che agli occhi del professore diventano altro. Molto, molto bello.
Grazie!

rosaturca

luigi ha detto...

Hai colto esattamente i punti chiave e le atmosfere che daranno forma e fuoco alla storia, come se fossero soltanto tuoi o scritti da te: questo tuo leggere è molto più dello scrivere.
grazie infinite delle bellissime parole.
luigi