venerdì 6 aprile 2012

La maledizione del verso

Nel lavoro sul verso, o esercizio, si assapora la tensione a un completamento, o effetto di risoluzione armonica dopo la tensione di una ricerca nel buio, (o dal buio al buio), che potrebbe non avvenire mai. Il completamento può anche non essere il fattore risolutivo. Un verso riuscito non avrà una testimonianza oculare sentenziabile. Avrà tante possibili vite quanti saranno i suoi incontri. Rispetto alla prosa la dimensione è sospesa, potrebbe rivelarsi illegittima per il suo troppo oscuro o per la sua eccessiva semplicità e immediatezza. Dovunque ci si muove scatterà la tagliola.
Bisognerebbe scrivere versi per chi non abbia idea di cosa sia la poesia. È pericoloso parlare di poesia a chi si sente poeta. A chi sappia definire che cosa significhi la poesia. A chi si sentenzia molto esperto.
Ho sentito una delle frasi più belle ed edificanti sulla poesia, o presunta tale, in un convegno di Alexandru Cistelecan "La poesia, qualcosa che non si può leggere" quando dice, con il suo bellissimo accento rumeno:
"Non esistono esperti di poesia. Perché la poesia ci manda tutti, accademici o non accademici, alla prima classe elementare. La poesia si legge così: tornando in quella fase, di prima elementare".  Conosco molte persone che si sentono e si dichiarono poeti, col tesserino plastificato e lucido nel taschino della giacca, ma che sono così presi dal sentirsi assorbiti dal proprio ruolo, da non riconoscere il fischio di un merlo nostrano dal rutto metallico di una passera mattugia. E chissà se una quartina che ho lasciato nel pomeriggio, in  cucina, non vada a sbattere sulle sue remiganti brunite, quando viene a mangiare, sempre alla stessa ora, le briciole d'oro della mia colazione, futuro prossimo del suo tenero funicolo spermatico. 
L'esercizio al verso è un lavoro tremendo e senza speranza. Lo sto aumentando e articolando sperando di non doverlo maturare con un fine, abituandomi a rinunciare a sperare – che forse è il più grande sollievo per chi scrive oggi. Sintomo di follia o di amore per la vita. Maledizione, senza dubbio. L'unico specchio reale sulla sgangheratezza e impurità di un linguaggio, ma anche sulle sue vedute più mirabili, delicate e profonde di mistero. È solo attraverso i versi, che ho ricevuto in assoluto le parole più gratificanti, ma anche le più spietate. Non ho mai incontrato il giusto mezzo: o bianco o nero. 
A volte giuro a me stesso di non spezzare mai più una frase in un verso. In altri momenti mi dico di non voler buttare giù una riga se non sia versificata. Tra questi due estremi, continuo a camminare, spesso senza pensare a quello che succede mentre lo scrivo. 
La tensione o esercizio teso all'idea di un completamento, può rappresentare anche un percorso oscuro ed esistenziale, dove ci si allena una vita intera senza certezza di agone, o di sconfitta, o di vittoria. Abitudine sublime alla pazienza del proseguire con ostinazione nel vuoto. 
A questo punto potrei ragionare al contrario, e immaginare quindi un esercizio al disfacimento del completo, verso la certezza dell'incompletezza – movente antieconomico quanto ispirato. Forse sarà la strada più sicura per non scivolare sull'illusione o sulla matematica delle proprie prove. Malinconico arrembaggio degli esperti. Magro e limpido divertissement per gli sventurati.

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