domenica 16 maggio 2010

La finestra


È difficile rimanere a guardarti, quando ti sposti nella luce, senza che tu sappia. Guardarti senza poterti esprimere la mia volontà di sguardo, e rimando così la falcata dolce del tuo passeggio, e la pazienza delle mani nel tempo tra le parole silenziose che stai ascoltando, e che io non saprò mai. Sei troppo lontana e perduta, dalla mia finestra, avvolta nel drappo della luce bianca di Domenica, come in una nevicata. L'azzurro del tuo passo e un filo di voci che gridano: i tuoi gemelli nella corsa, dove cerchi di pilotare la testa, mentre il tuo accompagnatore continua a parlarti e tu cerchi di seguirli insieme, i tuoi figli e la sua voce, come un rigo di alba, colta nel sonno dalla sorpresa di perdermi, che forse non avresti mai previsto. La tua fiducia, adesso da questa finestra di certosa, velata da un ombrello di sole che schiudi piano dal peso che ti grava al polso, e i tuoi piccoli sono dei calabroni bianchi che adesso ti ronzano grassi nel sole, in attesa di pungerti di una carezza o di un bacio svogliato per la fretta del gioco. State proseguendo, io continuo a guardarvi. Stavolta l'ho fatta proprio grossa, lo riconosco in un giorno così radioso, ma continuo ancora a seguirti e a perdermi nel tuo buio, in qualsiasi giorno di luce. Adesso di spalle scorgo la cupola dell'ombrello e il passo dolce del tuo nuovo amico, che non tradisce ansie all'idea che tu non possa vederlo, ma almeno avvertire la sua voce che non saprò mai che cosa ti stia dicendo adesso, così come tu non saprai mai quello che sto guardando e che ho visto di te e che non avrai mai saputo della profondità di vertigine dei miei occhi su ciascuna parte di te e della tua vita. Potrei non averti mai guardata ma solo braccata.
In questo giardino adesso i gemelli sono di nuovo sciolti e sganciati, come i miei pensieri levrieri ciechi, vanesse disperse nello stesso bagliore delle undici, uccelli di passo. La più veloce è ancora Sofia, che adesso scivola. Io faccio un piccolo sussulto, la piccola ride. L'uomo non ti lascia, aspetta che la bimba si rialzi o forse un tuo segnale, che non posso percepire.
Sono troppo lontano. I bambini ritornano vicini, anche tu ti aggreghi e ti inginocchi piano, cercando di tastarle con circospezione il visino ancora spaventato e i piccoli pomi delle ginocchia, con le tue mani. Alberto alza lo sguardo, come se mi avesse scoperto. Forse vuole guardarmi per te, percepirmi nel taglio severo di un rimprovero, di una minaccia. Io penso di non essere visibile, ma fingo per un momento che quelli siano i tuoi occhi veri, almeno per un istante, sottratti dalle tenebre del loro destino, e dal mio.
l.s.

Foto di Daniela Fariello

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