giovedì 13 maggio 2010

Narrativa di genere, cinema e regole del gioco. Jaume Balagueró

Non sarò mai troppo riconoscente al cinema per quanto mi abbia educato ai tempi, agli equilibri e alle luci necessari per l'uniformità e la coerenza di una storia. Anche, e forse soprattutto le opere di genere, sia narrative che cinematografiche, nascondono, se ben fatte e ben strutturate, delle regole molto ferree, una sorta di ortodossia a cui uniformarsi perché alla fine i conti tornino. Sin da bambino mi sono nutrito di storie e di fiabe, in molti casi interagendo direttamente e modificandole con la mia fantasia, in altri subendone il fascino del contagio per mesi, poi approdando ai contesti più elaborati, come quelli di di Henry James, soprattutto per l'impalbabilità delle presenze e della sapiente raffinatezza di stesura, e mi sono sempre accorto che una storia comincia a funzionare quando esiste al suo interno un grande cuore sensibile e narrante, ma anche una grossa saggezza di battito, di tempi e di luci, intorno al quale organizzare il cerchio perfetto di un orologio. Alcuni scrittori, forse perché troppo distratti da altro, o troppo presi da elementi idealizzati di un linguaggio che piaccia o che accontenti, girano digiuni da certe esperienze, spesso snobbandole,  perché lontane dal loro percorso stilistico o soltanto perché di genere, senza sapere che anche queste sono figlie dirette di un mondo letterario ed espressivo con una sua storia, altrettanto nobile e prezioso di contenuti per affinare il mestiere e la sensibilità di un proprio personale bagaglio; e  trascurando, a volte, l'importanza di alcuni procedimenti rigorosissimi che sono alla base, per esempio, di un horror ben riuscito e collaudato, che sia un film o un romanzo, perché tutti i pistoni del motore siano al proprio posto e in splendida forma, per ottimizzare al meglio i tempi, le dimensioni psicologiche (quelle più complesse da rendere credibili), l'abilità delle ambientazioni, i dialoghi (cruciali per qualsiasi scrittore e di qualsiasi genere; senza dialoghi buoni tutto comincia a stridere e a stonare) e di quel riflesso unico su un oggetto inquadrato in quel momento preciso della storia, attraverso cui la situazione può rapprendersi di un nuovo elemento vitale, che può diventare altrettanto funzionale a quel certo obiettivo estetico e artistico perseguito. Il narratore non dovrebbe buttare mai niente. Ho scoperto attraverso visioni ossessive di moltissimo cinema (la mia tesi di alta formazione, riguarda appunto "La musica colta nel fotogramma", in cui analizzo il rapporto  tra pellicole e strutture di opere sinfoniche preeesistenti, nelle loro modalità di utilizzo e di innesto, partendo dal Bach di Bergman e per arrivare allo Shining di Kubrick con Bartok e Ligeti) quante informazioni un qualsiasi scrittore possa assimilare e perfezionare da un qualsiasi lavoro di genere ben curato, dove le atmosfere psicologiche si equilibrino con le attese e la scansione di un ottimo ritmo di narrazione.
Penso molto alla musica, quando scrivo. Esistono delle regole fondamentali da conoscere e a cui sensibilizzarsi, che vanno conosciute e rispettate. Ecco un illustre esempio di come un impianto narrativo di genere, possa essere strutturato in modo ottimale, per quelle caratteristiche appena citate. Il trailer che segue è del regista spagnolo Jaume Balagueró. In questo suo lavoro, Darkness, riesce a conciliare molto bene un piglio di tecnica e di maestria da cineasta di razza,  con la cura più minuziosa delle situazioni psicologiche, elementi che a mio parere dovrebbero essere presenti nell'armadietto dei medicinali di ogni scrittore che si rispetti. Tra le sue prime pellicole ricordo anche Nameless, tratta dal romanzo di Ramsey Campbell
l.s.

0 commenti: