martedì 16 giugno 2009

Lettera fantastica a un editore immaginario...


Gentile amico e probabile piroscafo futuro per le mie inutili parole,
solo qualche rigo, cercando di potenziare le spianate più barocche e lucenti del mio stile, appena prima di affidarle i loro polsi d' inchiostro e d'argento. Sì, mio caro amico, perché il mio è comunque un atto di fiducia, e lo faccio con un grande e sontuoso distacco, mi creda. Le cose importanti sono ben altre nella vita, ma tentare questa strada mi sembrerebbe comunque giusto, forse doveroso, tanto meno per le ore di sonno e anche di buona luce solare perduta per affastellare alla meglio tutto questo ciarpame.
Dunque, io trovo importante il porsi con grande onestà ma anche con un certo coraggio di fronte ad un manoscritto ricevuto e ai grandi rischi che comporti l'impegno di una sua valutazione organica e corretta. Valutare e appurare se dietro lo scrittore ci sia prima di tutto un vero, grande lettore. Uno che non legge perché deve scrivere, ma perché non può fare a meno di leggere, perché l'amore per la parola scritta è la sua natura e gli è indispensabile più di ogni altra cosa al mondo, come un'ossessione, un pensiero fisso che non gli dà tregua. Affinarsi al fiuto di questa fondamentale valutazione, e poi nel caso sgrossare.
Cercare di scoprire il manoscritto in tempi diversi, rispettarne e sondarne i vizi, le buone e le cattive inclinazioni, la tenuta dei tramezzi e dell'intonaco, la necessità di intervenire con l'allestimento di ponteggi appropriati, senza disperare un crollo al primo cedimento e cestinare di furia. Avere occhio per quelle piccole improbabili virtù della sua struttura, che molto spesso possono essere potenziate e fare la differenza; sviluppare sensitività e acume per l'orrore dei suoi vuoti d'aria e per i picchi di amianto e di mercurio dei suoi paragrafi meglio riusciti e fiammanti, che il più delle volte richiedono intere distese di sacrifici e di incoerenze precedenti per vedere appena la luce e poi appena dilatarsi e ritornare più opachi. Scorgere quindi e giustificare quando possibile anche questi principi, spesso anche legittimi, di compensazione e di economia di una costruzione letteraria, che potrebbero risultare funzionali alla schiusa di una buona fioccata di ispirazione, che di solito non arriva mai senza sporcare qualcosa, come anche dai migliori stormi, anche i più lucenti e romantici, ci si può aspettare ogni tanto qualche schizzo imprevisto.
Scovarne quindi il flusso più terso e gitano del suo cantabile quanto la grana secca e viscosa del suo involuto, dei suoi azzardi, del suo senso del pericolo e dei suoi lanci nel vuoto, e cercare possibilmente di leggerlo in luoghi e in stagioni diverse, con effetti di luce e di vento che siano sempre più vari e contrastanti per fiutarne la stoccata inconfondibile del moschetto di un talento robusto, tanto più selvatico e naturale, quanto, purtroppo, più scomodo e poco funzionale per certe regole del gioco: leggerlo su di una terrazza di aperitivi, che tagli a sangue i cieli bassi e sfiniti delle campagne al tramonto, o nel tragitto più roboante e violento di una metro, che incontri una galleria nell'ora di punta di un mattino feriale. Cercare di entrarci con la punta del cuore, se non chiedo troppo, per avvertirne meglio quel soffio sottile e metodista di un canto flebile di organetto dei pini, contro le ridondanze tuonanti e manieriste di uno stile fin troppo appariscente e tecnicamente impreciso, anche se ben congegnato e promettente per l'appettito di quei mercati raffinati ed esigenti e ancora in buona salute. Trovo importante sentirsi comunque dolcemente responsabile, qualsiasi sia il proprio ruolo all'interno del processo di valutazione, e farlo a mente fresca e mai troppo meccanicamente, cercando di convincersi che quelle sue presunte oscurità molto spesso non sono sempre variazioni polimorfiche letali, ma forse anche le tracce più pure del suo daimon e anche la sua unica possibilità di essere una voce appena più originale e non un clone masticato di qualcos'altro, sentito nell'aria o ingurgitato a brani freddi nella sala d'attesa di un aeroporto, per affinarsi alla strategia mirata di un bersaglio certo e più facile da centrare.
A questo punto, se dopo questi procedimenti, il lavoro non dovesse cantare e risuonarle ancora dentro, nel tempo, allora lo può anche bruciare o usarlo come fondo per gabbie di uccelli. Una sola e ultima cortesia: in quest'ultima opzione, lasciare alle cloache dei volatili la parte bianca del foglio, quella dove non si vede l'inchiostro. Le parole in quei casi possono far molto male. Possono essere tossiche anche per gli animali, oltre che per gli uomini.
Grazie della cortesissima attenzione,
Mario Rossi.

l.s.

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