mercoledì 17 luglio 2013

Dentro i nodi di un costume

Ho capito che dovevo scrivere cinema, quando moltissimo tempo fa ho osservato una donna che cercava di allacciarsi un nodo di un costume da bagno dietro la nuca, con una grande piccola fatica, ma insieme con eleganza e con mistero. Il gesto di ripristino di quel nodo era una situazione molto meno comune di quella che un gesto ordinario può rilevare a un ragazzo che guarda ogni cosa con dolore. 
In quel momento le dita di quella donna indaffarate nel buio del nodo – la donna muove sempre le dita al buio, non solo quando si allaccia da sola un costume da bagno – erano il  mio primo cilicio. Di solito l'allaccio del nodo alla nuca bagnata è un gesto molto intimo, per quella sua disinvoltura nelle tenebre, insieme a quella sua delicatezza materna e selvatica. E io cercavo di capire come dire quello che provavo e che sentivo e pativo in quel momento, del mistero di una donna senza viso, quasi sottoposta allo sforzo e all'impaccio di annodarsi alla nuca quelle stringhe nere, così luttuose e sfilanti, ma anche bagnate dalle cuscinate delle onde. Il suo collo, la sua nuca fascista, ma soprattutto la posizione particolare dove le mani dovevano risolvere quel rebus, e io non avrei mai saputo e visto quello che in quel momento dell'allaccio quella donna vedeva o non vedeva se una pinna di squalo o quella forma di sottile costrizione dolorosa nella quale pagava il prezzo del suo fascino girato di schiena, la sua bellezza trafitta dal sadismo di un ago da sellaio, di un filo spinato.
Lo stesso nodo che mi ha incantato l'altra sera, nel vedere giocare con mio nipote al calcio balilla una ragazzina diabetica e bravissima, dietro i suoi grandi occhiali la freschezza roteante della pallina, che incatenava i suoi occhi stanchi di un'intera giornata, come se smossi da una tromba marina; così la radice amara dei miei sogni e la loro rapina nella profondità di un bosco feroce, dove incontrare, in una notte spaventosa, l'abbrivio di Dio.

0 commenti: