mercoledì 11 novembre 2009

Un primo timido bilancio



Un primo timido bilancio? Mentre scrivo ascolto Natalie Cole e penso a questo inizio d'esperienza nuova e a quella sorta di colpevole rimorso, soprattutto quando sento che potrei non essere all'altezza di un determinato compito. Non mi sento mai all'altezza di nessuna cosa, quando la sto facendo, nemmeno di questo post. Eppure sono dell'idea, che pur brancolando nei dubbi e nel buio di una novità, bisogna considerarne gli aspetti esperienziali da un'angolazione più ampia e non restringerla in una sola idea di misurazione.
Io ho cercato e sto cercando di farlo:
Il tempo impiegato a lavorare sui testi audio non è perso ma è intriso di attenzione a quello che ho scritto, alle sue sonorità, ai tradimenti e alle sorprese della mia voce, che a volte plana e ritorna sui passaggi come un uccello ferito e stanco, in altre come un avvoltoio in picchiata obliqua.
La sonorità e l'interpretazione di un proprio testo in prosa pone in grande imbarazzo per il fattore psicologico del rapporto profondo che si ha e che si instaura nel tempo con la propria voce. Riascoltandola mi accorgo di quanto poco io mi ascolti e sia consapevole dei suoni delle cose che dico durante una giornata qualasiasi di vita. Rileggendo al microfono un capitolo di un mio lavoro, rimango fermo sulla corda, attento a non mascherarlo o deformarlo con un tempo sbagliato o troppo veloce, a non confondere le parole e le frasi importanti e cercando di leggervi quello che nemmeno lo scrittore forse aveva avvertito. In fondo è un processo sottile di controllo e di rielaborazione della sensibilità alle tensioni dell'impianto narrativo e alla loro risonanza, dove poi riesamino le immagini e i giochi di memoria che ho lanciato come spilli roventi sulla carta.
In questo particolare contesto di narrazione, il mio principale obiettivo era quello di sperimentare a una certa distanza, le dinamiche di un lavoro molto esasperato e volutamente controverso, denso di manierisimi e di lunghissime distese di spazi e di involuzioni, forse eccessivi, ma con all'interno l'idea di una storia che ho sentito in tutta la sua magia di dolore e di consistenza come qualcosa di profondo e di vero. Lo sviluppo della storia e il suo snodo è stato forse in assoluto tra i più atroci tra quelli su cui ho lavorato, accostandosi in alcuni momenti a certa letteratura di genere e rivelando nel cuore del suo gioco gotico e metaforico, una visione apparentemente pessimistica e senza speranze di alcune particolari realtà sociali e borghesi in relazione alla dimensione dell'affettività e dell'espressione dell'uomo, riletti in un'unico alveo dove si confondono e si disperdono nelle acque di quel fantastico lago nero...
Nei files audio è la storia con i suoi ventricoli, che a me preme far venire fuori, nelle sue tessiture, senza soffermarmi sull'estetica narrativa ma sul contenuto e sulle atmosfere. La mia voce dovrebbe scomparire e farsi ingoiare dalle dinamiche della storia, e questa è un'impresa molto complessa. In effetti vorrei impostare il lavoro come direttore delle luci e non come annalista o voce recitante. In"Vacanza di lago", mi accorgo solo adesso dell'ingombro di quel pdv molto introspettivo e di quanto nel periodo in cui ci lavorai, mi sembrava sontuoso e regale, per la sua smania di controllo sulle esistenze così mutanti e spettrali dei personaggi.
E allora questo piccolo viaggio mi rimarrà come una scommessa con quelle che sono le mie idee sul senso dello scrivere e dell'esprimersi nel vortice dei tempi che cambiano e che ci nascondono.
L'importante è averla comunque tentata, augurandomi di riuscire a comunicare il significato complessivo e profondo di un plot e non la sua esteriorità.
l.s.

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