lunedì 5 settembre 2016

Il fantasma della qualità





Guardandomi intorno, in più situazioni e circostanze, anche piuttosto diverse tra loro, mi accorgo che la qualità, nel senso più o meno lato e completo del termine, viva ormai un declino progressivo, una sorta di eclissi e si consideri ormai e sempre di più un qualcosa di spettrale, di inverosimile, se non di inutile o addirittura di scomodo accessorio, quando viene tirata in ballo o richiesta, in diversi casi e a ben dire pretesa, come essenza primaria e imprescindibile parametro su cui adeguarsi e misurarsi, in un certo percorso e contesto artistico-culturale.
Comincio a convincermi che della qualità interessi davvero poco, sempre di meno ormai. O non quanto altri aspetti, considerati predominanti e molto più funzionali e validi; performanti, aggiungerei.
Mi accorgo che determinate opere cominciano a valere o a percepirsi valide, in primo luogo per il loro effetto immediato, una sorta di violento, quanto effimero, coup de foudre e non più per la loro intrinseca forza, natura o personalità, che dovrebbe sostenerle e nutrirle dall'interno, qualificarle, in qualche modo, al di là della loro espansione o possibile, e spesso imperscrutabile, futura e oscura diramazione. Le cose e le opere che si fanno o che si tentano, devono arrivare dritte, col minore sforzo e la massima resa possibile, senza troppi intermediari e deviazioni. Smaglianti, fluide, dirette. Scorrevoli, godibili, con un buon ritmo e soprattutto incalzanti. I sentieri del viaggio devono potersi scorgere sempre nitidi e puliti, ma dritti, senza tortuosità, troppe curve o salite. L'aria del linguaggio deve essere sempre respirabile, salubre e soleggiata, alla portata di tutti i possibili vacanzieri del caso, con molto nudo, molte cosce e seni, pochi problemi di ricezione segnale, quantitativo adeguato di aree Wi-Fi, niente protesi dentarie, acustiche, ortopediche ma nemmeno troppi capelli bianchi. Un'operazione culturale, un progetto, più o meno artistico che si rispetti, deve mantenere a tutti i costi il diktat della popolarità, sopra ogni altro elemento, quindi quella propensione di fondo alla fruibilità, che pare schiacciare e irrompere su molti altri aspetti, molto più importanti e sacrali, a mio modesto parere, se imperniati su di un discorso di ricercatezza della qualità, ormai ridicolo e obsoleto se considerato come fondale prezioso e indispensabile sul quale impiantare un certo progetto. (Ma anche il fondo sarà un di più. Cosa conta un fondale se alla fine non si vede? Conta quello che appare. È lì che le persone si fermano per scegliere. Sulla superficie visibile, non sul fondale. Cosa credi, ragazzino?).
Non è semplice né conveniente individuare che cosa sia e in cosa consista questo fattore qualitativo, a cosa serva e che cosa cambi in fondo nelle regole attuali e caotiche del gioco (o della posta in gioco) di questo tempo assurdo e in totale disfacimento e decadenza. Di certo pare che sia qualcosa che pesi troppo e quindi che manchi della leggerezza necessaria per assicurare  slancio e assoluto divertimento a quello che oggi si cerca, quell'adeguato intrattenimento, per cui vale la pena investire qualcosa, che sia del tempo o del denaro, rimane sempre qualcosa di investito. Credo che l'idea o il mito della qualità rimanga sullo stesso piano dei racconti di fantasmi, che si fanno – o forse si facevano – i ragazzi e ragazzini sulle scale di casa, verso l'imbrunire, racconti romanzati soprattutto da quelli più grandi e quindi più abili, in grado di catturare l'attenzione e provocare lo spavento dei più piccoli, che pendevano, terrorizzati più che increduli, dalle loro fertili labbra. Ma in fondo su quelle scale si parlava di cose dallo spavento ancora dolce, forse perché inesistenti, che non accadranno mai e che in fondo non erano mai accadute. La qualità sta diventando tragicamente, purtroppo, uno di quei soggetti impalpabili, sussurrato per gioco dai ragazzini più grandi e smaliziati sulle scale di casa, semmai sul finire di un'estate, verso il crepuscolo. Qualcosa di sfumato, di impercettibile e di lontano, di ridicolo se non di spaventoso, o forse le due cose insieme, simultanee, agli occhi dei più piccoli che amavano deliziarsi di quello spavento mortale, prima che calasse il buio sulle case. Qualcosa di passato, di antico o peggio: di mai davvero esistito, nel nostro caso come parametro su cui uniformare un certo processo o sviluppo artistico di un pensiero. 
Parlarne è come rendersi ridicoli agli occhi del mondi severi e ultraimpegnati dei grandi, di quelli che contano, che vivono, che lavorano e che concludono. Queste storie di fantasmi, così vaghe e inconcludenti, ormai non interessano più. Contano le cose vere, quelle che si vedono, che si muovono alla luce e che richiamano consensi e assensi.  Numeri e risultati concreti. E la qualità, ahimé, con questi presupposti numerici, comincia davvero a svanire, come un qualcosa di spettrale e forse di ridicolo, se sbandierato troppo ai quattro venti. Per poi diventare un ricordo lontano, qualcosa da cui stare alla larga, o da ricordare nella profonda solitudine, alla luce fioca di una lampada, quando si scorge un'ombra improvvisa sulla parete, poco prima del sonno.
La mia sensazione rimane questa. Della qualità non interessa quasi più nulla a nessuno. Non è più un elemento trainante e fondamentale. Qualsiasi mezzuccio o strategia portata avanti funzioni, va bene lo stesso, e quindi sarà accolta e premiata, a dispetto di tutto ciò che sia troppo soggiacente e sospetto, poco luminoso e palpabile. Tanto il resto rimane indefinito, fatto solo di fantasmi fradici e tristi, stralci di cose dette, fatte, pensate ma in fondo mai accadute né così riconoscibili. Nessuno verrà mai a dirti niente di qualcosa che per lui e per tanti altri non c'è e non ha più senso e valore, né tempo, né spazio, perché in fondo non è dimostrabile, testimoniabile, ricostruibile, se non su quel finire di un'estate lontana, sulle scale di una casa, forse nemmeno mai esistita. L'idea, o forse solo il sogno, dove conti ancora il fantasma – vero, amato e prezioso – della qualità:


























2 commenti:

JackOmino ha detto...

Caro Luigi la qualità delle idee nelle forme espressive non è più riconoscibile e ha la forma di messaggio in una bottiglia. Giacomo

luigi ha detto...

Ciao, Giacomo.
Concordo in pieno, naturalmente; ma con dolore.

Un saluto e grazie della visita