martedì 27 settembre 2016

Riflessioni sparse sul senso della pubblicazione, dell'autopubblicazione e della non pubblicazione (Parte VI)



Edgar Allan Poe
Proseguendo nella nostra lunga analisi, adesso ci ritroviamo un quadro piuttosto complesso, nel quale mi sentirei di fare alcune particolari considerazioni, ma stavolta non più come portavoce delle inquietudini del signor X, ma esprimendo in piccolo il mio parere. I punti che ho cercato di condividere nelle precedenti riflessioni, mi hanno dato idea che il pubblicare non sia un passaggio automatico e un affare tra due interlocutori sconosciuti che contrattano, ma parte di un processo molto ampio, in cui la pubblicazione sarà una tappa di una serie di altri ponteggi o fraseggi più o meno laboriosi quanto personali, ma che non sempre possono inquadrarsi in un sistema diretto o verticale di condotta, ma più sinusoidale se non labirintico, fatto quindi di una serie di passaggi intermedi e paralleli non sempre pianificabili. Un po' come la vita. I percorsi che riguardano gli incontri, quella serie di elementi che messi insieme ci hanno consentito di trovarci in questo momento con questa persona anziché con un'altra, di frequentare questo luogo, di mangiare in questo ristorante, anche di leggere questo libro, proprio questo e non un altro e spulciare in questo blog dai post chilometrici, per esempio. 
Detto questo consideriamo adesso che ogni scrittore matura nel tempo una sua particolare espansione di condotta in relazione alla sua parte creativa, con una sua  visione di gioco, che lo orienterà verso i suoi territori più interni,  con i confini, le inclinazioni e le suggestioni entro cui sente e non solo deve necessariamente muoversi. Il tutto tenendo conto del suo obiettivo ma anche del suo livello formativo per perseguirlo, così come degli spazi specifici che intenderà (o spererà) di occupare con il suo meticoloso lavoro, il che comporta il considerare nelle sue aspettative e dinamiche, anche il tipo di progetto di cui si occupa e quindi il relativo mercato di appartenenza dello stesso. Il genere della sua scrittura, con tutto il mondo che prevede e che nasconde.  
Credo che sia fondamentale inquadrare subito questi elementi, dal momento che ciascuna espressione, all'interno dell'alveo specifico di un sistema editoriale, contemplerà mondi, risposte e attenzioni differenti, ma molto relati alla cerchia di amatori fedeli se non accaniti di quello stesso mondo e che l'editore, grande, medio o piccolo che sia, dovrebbe riconoscere e studiare a fondo, in modo da orientare con lucidità la sua scelta sugli autori da seguire. (Di solito anche in base al loro magnetismo, come alle modalità, alla personalità e sensibilità con cui questi generi vengono trattati e proposti dagli stessi creatori e aspiranti puledri di scuderia).
Il genere sentito, (ma possibilmente non scelto per strategia) o anche i generi affini che si muovono in un certo tipo di orbita, rappresenteranno dei fattori molto importanti per valutare i tipi di passaggi e i comportamenti successivi, quindi l'impostazione di una certa specifica progettualità in un percorso editoriale. L'aspettativa editoriale di fronte al reperto di un manoscritto fresco, appena inviato, si scontra spesso con una sorta di terrificante maelstrom: di solito più vi è l'ardore di partecipare e di condividere, più prevale quell'impulso selvatico portato a stupire, tipico di racconti o di romanzi imprigionati dai loro spasmi di libertà, con una combustione di idee, di sentimenti deliranti, come di voli pindarici verso orizzonti nuovi e spesso poco definibili e accecanti, specie se smossi del solo amore per l'esercizio della scrittura, e spesso avulsi da una precisa logica di classificazione, per un'ottica di profitto e per una loro collocazione di mercato, pur nell'alveo o nel cratere di un certo genere. 
Il marasma sentimenale e la fibrillazione di un testo appena sfornato dall'officina incantata del nostro scrittore X, in diversi casi non ha quasi mai l'abito della domenica per le convenzioni che una certa editoria prevede per inquadrarlo e valorizzarlo. Di solito una voce di scrittura, pur desiderosa di una pubblicazione, trasmette delle priorità e degli ideali  diversi da quelli editoriali e di mercato, ma conformi a logiche di altre economie, forse più spirituali che commerciali, dal momento che lo scrittore ha perseguito, ancora prima del desiderio di condivisione, il diktat della sua storia, con le suggestioni e le convenzioni di quel suo territorio magico e oscuro, con le sue particolarissime normative. D'altra parte un atto creativo deve muoversi in un certo modo, non può calcolare e limitarsi durante la sua faticosa fioritura. Ma è quindi abbastanza difficile che le regole e la natura più intima e spirituale di quel lavoro includano anche la strumentazione di bordo per fargli prendere il largo. Questo largo, tra l'altro, per un editore potrebbe essere di certe profondità e latitudini, per uno scrittore di altre, semmai anche molto diverse da quelle che immaginava e nelle quali credeva durante la stesura della sua opera. Un largo forse più mistico, quello dello scrittore, se non abissale. 
Ma accade anche l'opposto. Da una parte il maelstrom creativo, dall'altra il controllo strategico a oltranza, dal primo all'ultimo passo: con molta malinconia vedo in giro la tendenza a dedicare fin troppo spazio al fattore strategico, al controllo, alla misura del proprio spazio espressivo, ai suoi bordi perché si predispongano al giusto incastro, il tutto vissuto in alcuni casi come elemento prioritario in un processo creativo. Scrivere per adattarsi a uno standard precostituito di una corte di lettori al quale adeguarsi in tutti i modi, dando all'appetibilità e alla forma di una certa idea, la precedenza sul proprio mood, impopolare o stravagante che sia, ma che è l'unica traccia della nostra unicità. Riscontriamo quindi la monarchia di taluni, contro l'anarchia di altri. Puntare troppo alla direzione, all'educazione rigida alla meta e non al sentimento, fa dimenticare spesso la profondità e la completezza del percorso, anche solo del primo passo, quando è fresco, sentito e ben fatto.  Prevale in molti la smania di captare lettori e di informarsi su come captare e migliorare questa sensibilità magnetica, non solo quando l'opera è ormai completa, ma anche sezionando le fasi più intime, quelle più oscure e solitarie di scrittura, con informazioni di strategia già interne alla formazione della loro tessitura in atto, come se per ogni passo si debba già utilizzare quella carta moschicida adeguata, per beccare lettori come mosche (possibilmente vivi, naturalmente. L'esempio  era legato alla modalità di presa e ci sorrido!) Come fare per: come affinare un passaggio per: come affrontare una curva per: muovere questo paragrafo per: utilizzare  questo tempo per: questa trama per: questa forma verbale per: questo stile per: Questo sistema di pensiero e di controllo di un marketing che invade la penombra e la fragilità della zona creativa e solitaria (a questo punto non più) di uno scrittore, in ogni piccola intercapedine del suo tragitto (quasi a voler trovare un modo di scrittura adatto per pubblicare, per vendere o per rimorchiare lettori) personalmente mi crea un forte disagio perché mi toglie aria e atmosfera, solitudine e angoscia, elementi preziosi e nutrienti, dal momento che durante l'abbandono all'ispirazione e alla fase creativa, se mi impiglio nei "per" e nei "come" distruggo un intero mondo, forse il momento più bello, profondo e poetico che posso concedermi, dove il mio unico "per" sarà invece concentrato nel mistero di quel mio gesto, nella sua possibile inutilità che però mi trasforma, mi completa e mi dà un senso anche nell'incompletezza. (Questo è uno dei motivi per cui sarei molto propenso a fomentare la scuola della non pubblicazione, per ritrovare il giusto contatto con lo spirito dell'intento, il fattore primigenio, la profondità delle incertezze e del non avere idee, sistemi, pensieri, certezze. Almeno pensare seriamente a un'astinenza, quanto meno periodica, all'impulso o genio strategico del "come", per abbandonarsi a un nostro "dove", che non abbia più luoghi e si riappropri di una sua austerità).
Troppo marketing nell'aria, poca poetica e abbandono. Almeno il cantuccio incantato dell'officina deve essere un luogo di silenzio, di studio e di ricerca, ma anche di pudore, di riserbo, di mistero e di sogno, ma possibilmente non di elenchi o vademecum per non fallire. Non credo che le regole valgano per tutti, poi. Un sistema potrebbe funzionare perfettamente per una sensibilità e risultare disastroso per un'altra. Quelli che ho appena tentato di analizzare sono i due eccessi opposti. Ma dovendo scegliere tra i due mali, ben venga il maelstrom di Poe – non a caso maestro indiscusso dell'oscurità letteraria. Tra i due litorali del controllo contro il vortice, per me non c'è gioco!
Per oggi mi fermo qui.













0 commenti: