sabato 21 maggio 2016

Il desiderio di non vita nell'altro


Mi accorgo che a volte vorremmo essere sempre il viatico, l'accesso privilegiato per l'altro, verso un tipo di esperienza esclusiva, una sorta di prima volta, che sia solo dell'altro, intendo di chi ci è vicino e che ci accompagna. Miriamo a una prima volta che deve la sua possibilità soltanto a noi, ma che non sia condivisa da entrambi come prima. Desiderando in particolar modo la non vita passata dell'altro, piuttosto che la ricchezza e stagionatura dei suoi trascorsi: che ci ci ami non abbia mai preso un aereo, se non con noi, che ne abbiamo presi trecento. Nemmeno un treno, ma neanche solo un taxi di notte, o l'ultima metropolitana. Ma che non abbia visto un incidente mortale, un capriolo, un tramonto, una rissa al di fuori di noi, se non attraverso di noi, che invece ne abbiamo visti a centinaia di migliaia. Che non abbia mai scoperto un artista, un museo, un film, un libro, un albergo, un farmaco, un vizio, un ristorante, una canzone, una vacanza, una vetta, verità o credo filosofico, ma anche un grande dolore, che in qualche modo non appartenga a noi, a un nostro tramite diretto e incontrastato. Che non abbia mai amato, baciato nessuno prima se non noi, fatto del male o slacciatosi all'improvviso il costume di sopra nella brezza della pelle d'oca, in un bagno di pomeriggio, se non con noi e solo per noi. E così facendo ci appropriamo con orgoglio delle prime volte dell'altro, delle sue nuove emozioni, stupori, incertezze, incanti o maledizioni, con una misteriosa forma di dominio e accanimento assoluti, murandoli tutti in relazione alla nostra esistenza e testimonianza suprema; in una sorta di regime affettivo ma anche viscoso e invadente di priorità perpetua sul vissuto, sulla quantità gelida di vissuto. Se a volte non siamo il viatico, l'unica chiave di magia verso il nuovo dell'esistenza dell'altro, l'altro, ai nostri occhi, potrebbe mostrarsi diverso, se non inutile e quindi appassire; e farsi anche più minaccioso, perché forse meno fragile e inesperto di quanto avremmo gradito, quindi meno interessante, solo perché il suo piano esperienziale non sarà stato poi così distante e modesto rispetto al nostro, come un tempo speravamo. E quindi decidiamo di lasciarlo perdere e svanire, almeno per un po', o un po' per sempre... Ed è solo allora che si cerca altro. Si cercano compagni di viaggi mai fatti e mai stati, solo per goderci questo privilegio di aver fatto, vissuto e incontrato molto di più. Di essere qualcuno che racconta e che rassicura e ancora una volta incanta, ma che non sente il bisogno di ascoltare un racconto o di essere rassicurato e incantato, se non attraverso la propria infantile ed eccellente sicurezza di detenere quel certo (ma nello stesso tempo anche incerto) irraggiungibile e seducente primato. 
Si ama, o forse si tortura, si desidera e si controlla più facilmente chi immaginiamo o avvertiamo inferiore, come una sorta di figlio adottivo e un po' maldestro, a cui chiedere se ha lavato le mani e i denti, prima di andare a letto. Sarà forse l'unico essere a distrarci dal nostro terrore di esistere e di amare, per il solo fatto di aver gioito o patito meno vita, e quindi meno terrore e amore di noi?

l.s.




















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