sabato 14 marzo 2015

Parlando, verso l'imbrunire


Parlando, due sabati fa, verso l'imbrunire, con un amico, tenendo sempre un occhio a mio nipote, che si arrampicava su di un albero spoglio del giardino in cui ci trovavamo. La sua impazienza di salire e l'avanzare fitto delle ombre mi costringevano a non abbassare troppo la guardia, ma nemmeno a opprimerlo e a rovinargli quegli ultimi frammenti di luce della giornata. E con quel mio amico si parlava di libri, allo sfinimento, e quindi di scrittori, quando a un certo punto non so come è uscito il nome di Mishima e allora lui ha detto, con grande semplicità: "D'accordo, qui però parliamo di letteratura". Meraviglioso. Non gli dissi niente ma svelai l'arcano incantatore di tante questioni, di tante possibili incomprensioni.
Il mio amico aveva sintetizzato in poche parole un concetto così semplice, quanto purtroppo trascurato e a volte frainteso, ossia quello di non relazionare un'opera al solo effetto del suo intrattenimento, della sua funzione temporale relegata a quel contesto esperenziale, ma dilatandola e semmai deflagrandola verso altro, verso zone che trascendono una questione di qualcosa che si fa per un effetto o per una compensazione o utilità più o meno consolatoria, balsamica e immediata se non spicciola, – ossia l'effetto di quella lettura e le aspettative lecite di quel preciso momento – ma sconfinandola da una semplice attività di consumo, che è legata a una sua precisa economia di fruizione o svago più o meno emozionante, verso un luogo molto più complesso, impalpabile e stratificato: uno spazio fatto di archi, di territori disconnessi, sismici, marittimi o piani e ancora altri, che fanno parte di un percorso in apparenza del tutto inutile, semmai disordinato e controverso, se osservato alla sola ragione – semmai sacrosanta – del momento, ma dove la funzione di quel progetto artistico e direi letterario, vale e varrà oggettivamente a prescindere da quello che avviene e che avverrà nel semplice primo parziale contatto o approccio temporale e presa, più o meno felice, con il lettore e il suo piccolo oggetto o lampada di Aladino, continuando e valendo, al di là di quella semplice e circostanziata prima esperienza  catastrofica, affabulante o attraente che sia, come solco o insieme di un certo firmamento di idee, di pensieri, di intenzioni e intuizioni, come di meravigliosi intrecci visibili o invisibili, che manterranno ugualmente e comunque un loro incontrastato valore, come traccia viva di equilibri estetici, di nuove grandezze e di mistero, di emozioni e sentimenti di immaginazione, ma soprattutto di cultura e di civiltà. Come solco e anche calco di tutto questo.
Così come potrei dire è dirò: qui parliamo di musica, di fotografia, di pittura, di cinema, di teatro, senza dover considerare e immiserire il valore di opere di autori alla sola stregua dell'angusto mio gusto personale.
Mio nipote intanto era stanco di arrampicarsi. Scese dal suo albero preferito e ci raggiunse. Col mio amico passammo a Beckett e a Ionesco, e poi a ruota virammo sul crollo di un solaio, il cui boato era stato percepito da entrambi allo stesso modo – provenendo da una vecchia costruzione di ponteggi in allestimento, che era a pochi metri dal giardino. Il rombo aveva spezzato le parole e confuso i bambini. Ormai era buio.
Si era fatta ora di andare. Così andammo.
l.s.

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