martedì 5 febbraio 2013

In un ufficio

Ieri mattina assistevo a una breve scena. Più che una scena era un dialogo. Più che un dialogo era un monologo. Vengo subito al dunque:
una madre in attesa che il marito sbrighi una pratica a uno sportello – l'ufficio è molto affollato – con un occhio cerca di controllare il suo bambino, che vaga in un'area dove la folla non è concentrata. Io ero a pochi passi da questo bambino: ogni tanto facevo segno alla mamma che era lì. Mi ricordo che c'era un pilastro che impediva alla signora di controllare gli spostamenti del bambino. Dopo qualche minuto il bambino ritorna accanto a sua madre, ma, essendo un bambino, come tutti i bambini non ha la pazienza di attendere, per cui continua ad allontanarsi, poi a ritornare, a rivitalizzare un po' il grigiore di quel mattino. Fino a quando la mamma, spazientita, gli fa:
"Adesso, se non la smetti, ti faccio picchiare da tutti i signori che stanno in quest'ufficio". La donna mi guarda di striscio, come per assicurarmi che avesse provveduto.
Ho pensato.
Uno: a quante persone c'erano nell'ufficio, e a come quel bambino avrebbe potuto associare a ciascuna persona il ruolo di fustigatore o picchiatore d'occorrenza.
Due. come il bambino poteva associare lo strano potere che la mamma si arrogava, tale da poter disporre della volontà dei signori in attesa, per espletare una funzione educativa, si fa per dire, di tipo contenitivo, in un modo così sproporzionato.
Tre. come la violenza e la minaccia rimangono le reazioni più naturali di disimpegno in situazioni difficili, anche quando si ha a che fare con un bambino.
Quattro. Che cosa potrebbe pensare quel bambino di tutti i signori che incontrerà in tutti gli uffici del mondo, quando sarà tentato di trasgredire. Li vedrà come emissari di un disegno punitivo e incombente? Quale parte della sua mente riuscirà a distinguere la verità dal paradosso o finzione?
Si tratta di realtà o di sogno?
Da bambino ho trasgredito anche io. Molto.
Ricordo che in un parco molto grande, davanti a due miei cugini, mi divertivo a soffiare le bolle di sapone sulla nuca di un signore, che era seduto su di una panchina con sua figlia.
Gliene soffiavo diverse, anche in testa, ma erano bolle, il signore non se ne accorgeva, e quindi non era così divertente, soprattutto avendo un piccolo pubblico accanto a me, che si aspettava il mio  numero.
Quando a un certo punto, spazientito, rovesciai l'intero contenuto delle bolle di sapone direttamente dal piccolo tubo che le conteneva alla giacca del povero signore.
Che in quel caso si girò. Ricordo anche che dopo quell'episodio, né mio padre né mia madre mi minacciarono dicendomi che quel signore e che tutti gli altri signori del parco, mi avrebbero picchiato.
Credo che intervennero in qualche modo, ma senza l'infiltrazione di soggetti terzi e senza inimicarmi il mondo di adulti anche buoni che non si sarebbero mai immaginati di picchiare un bambino su commissione, come quella signora voleva far credere a suo figlio.
Da quel mattino, intanto, non ho più rovesciato tubetti di bolle di sapone sulle giacche.

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