giovedì 21 febbraio 2013

Turn out the stars: recensione di Sara Medi a prima stesura



Questa lunghissima recensione alla prima stesura della mia sceneggiatura "Turn out the stars", è stata scritta su Cineama da Sara Medi, una laureanda all'interfacoltà Comunicazione, Innovazione, Multimedialità (CIM) presso l'università statale di Pavia.
Sara Medi sin da piccola nutre una vera passione per la scrittura che la porta a scrivere un po’ di tutto: racconti, saggi, poesie, canzoni, articoli, recensioni e quant’altro. In passato ha anche partecipato ad alcuni concorsi letterari dove i suoi lavori sono stati premiati e/o pubblicati.
Coltiva, inoltre, un grande interesse per tutto ciò che riguarda la cultura e le arti più in generale: in particolare cinema e fotografia, ma non solo. Tra le varie attività di approfondimento inerenti al cinema ha svolto uno stage presso la 21° edizione de Il Festival del cinema Africano, d'Asia e d'America Latina di Milano.
Ecco la sua analisi a "Turn out the stars", che tra l'altro mi ha stimolato a estendere il più possibile le diramazioni del tessuto strutturale della narrazione e dei suoi punti nodali.
A voi:


“Turn out the stars” lo trovo un racconto molto complesso e misterioso dai risvolti inquietanti che a tratti richiama alcune opere maestre di David Lynch come ”Blue Velvet”, ”Strade Perdute”, ”Mulholland Drive”, ”Inland Empire” etc.etc. per la sua dimensione onirica e surreale.
Dalla sua lettura, secondo me, emergono diversi temi interessanti: 

1) IL CONCETTO DI MASCHERA, RECITA, FINZIONE (e tutto ciò che vi è correlato).
L’immagine degli operatori mascherati che costringono i due protagonisti a recitare una parte, attenendosi scrupolosamente a un copione già scritto, e trasformano la loro auto in un set cinematografico mi fa sorgere diverse associazioni mentali.
Prima di tutto con l’opera di E.Goffman “La vita quotidiana come rappresentazione teatrale” dove egli utilizza la metafora del teatro per rappresentare come agisce l’uomo nella società e paragona gli individui ad attori che ogni giorno indossano una maschera, salgono su un palcoscenico e recitano una parte davanti ad un pubblico (…). Così, allo stesso modo, i protagonisti del racconto si trovano costretti a recitare un ruolo… quasi come se metaforicamente loro rappresentassero la libertà/ingenuità/spontaneità (soprattutto la donna quando si inoltra nei campi azzurri, senza occhiali e incurante dei pericoli, saltellando e fischiettando come una bambina) e gli operatori mascherati la società che gli imprigiona, gli opprime e gli ‘etichetta’.
Inoltre il tema della maschera, del doppio, della crisi di identità, della follia etc.etc si ricollega a vari autori delle discipline più disparate (scrittori, poeti, filosofi, registi etc.etc) che l’hanno affrontato nelle proprie opere: da Pirandello (“Uno, nessuno, centomila”, “Il fu Mattia Pascal”, “Così è se vi pare”, “Sei personaggi in cerca d’autore” etc.etc) a Svevo, da Stevenson (“Dottor Jekyll e Mister Hyde”) a Schopenhauer, Nietzsche, Freud, Kundera e così via.
Per es ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere” M.Kundera scrive: ”L’uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza aver mai provato (…)” – ed è proprio ciò che accade ai protagonisti del tuo racconto. 
2) IL CONCETTO DI IDENTITA’ E DI SPERSONALIZZAZIONE. 

I due protagonisti devono solo ascoltare e non parlare/muoversi oppure parlare/muoversi a comando, solo se e quando glielo ordinano gli operatori. Essi quindi vengono trattati come oggetti-giocattoli e ridotti alla stregua di meri burattini, di fantocci senza anima. In questo modo vengono derubati della propria identità-intimità-umanità e non ci appaiono più come veri individui, esseri umani pensanti, ma come semplici feticci “spersonalizzati” e strumentalizzati.
Lo si esplicita in particolare in un passaggio del racconto quando una delle figure mascherate dice loro:
”Non ha importanza quello che le succede ma quello che esegue (…).
Adesso non dovete fare niente di preciso. Lasciate che la paura vi avvolga. Basta questo. È molto semplice.”
Inoltre da notare che sinora è l’unico racconto in cui non compare il nome di nessuno dei personaggi: essi sono chiamati solo genericamente ’uomo, donna, operatori’. 
3) NATURA e POESIA. 

E’ evidente la contrapposizione tra la natura ‘pura’ e incontaminata dei campi azzurri vs la civiltà e l’artificio umano (l’auto, la ruota panoramica, il vagone ristorante e il set).
La donna, una volta arrivata nei campi, sembra volersi ricongiungere con la natura e con il suo spirito in una sorta di estasi mistica (quasi un rituale religioso), testimoniato anche dalla sua solitudine (l’uomo resta in auto, non la raggiunge) e dalla sua profonda commozione.
Nella sua lettera parla di ”perdita di stupore, verso tutto quello che accade, che si muove, ma anche verso tutto quello che non accade. La perdita perpetua dell’emozione” – eppure, ironia della sorte, da lì a poco si troverà in una situazione che genererà proprio quello stupore e quell’ emozione di cui lamenta la mancanza (quasi che la natura ascoltando le sue preghiere le abbia esaudite, anche se scegliendo una via poco ortodossa…e l’abbia fatto per svegliarla dal suo torpore…simile al velo di maya schopenhaueriano).
Inoltre le sue parole sembrano quasi quelle di una poetessa perché riprendono la riflessione poetica contenuta nell’opera ”Il fanciullino” di Pascoli; riprendono quindi l’idea secondo cui il poeta non deve mai smettere di essere curioso, non deve mai perdere la capacità di stupirsi ed emozionarsi, deve vivere il mondo come se fosse nuovo, come se tutto avvenisse per la prima volta, e deve ascoltare la sua ‘voce interiore’ (il fanciullino che c’è in ognuno di noi). 
4) IL DESTINO. 

Come abbiamo visto i due protagonisti sono succubi degli operatori, ma anche questi, a loro volta, sembrano essere subordinati a qualcun altro: a qualcuno che sta più in alto, ad una forza maggiore e suprema a cui nemmeno loro possono opporsi o sottrarsi.
Lo esplicita una delle figure mascherate quando dice:
”Dobbiamo consegnare del materiale. Entro la giornata di domani. Una richiesta improvvisa e urgente. Le richieste improvvise e urgenti possono essere sempre molto spiazzanti. Questo tipo di richieste improvvise possono portare alla follia anche una persona equilibrata o anche un gruppo di persone normali ed equilibrate. Quando arrivano in particolari momenti, queste richieste improvvise, non lasciano più alternativa” – quasi a voler giustificare il loro bizzarro comportamento agli occhi dei protagonisti. Quasi quindi come se non fossero che semplici esecutori, ma non i mittenti, cioè i diretti responsabili.
Metaforicamente in questo caso il mittente potrebbe essere il Caso, il Fato, il Destino, Dio o come lo si voglia chiamare… come a ricordare che nessuno è padrone fino in fondo del proprio destino e nessuno può sottrarvisi.
Simbolicamente gli esseri umani, i comuni mortali (i 2 protagonisti) non possono sottrarsi al destino (gli operatori), ma neppure gli operatori possono prevedere fino in fondo le proprie mosse quando entrano in gioco forze maggiori (il destino per definizione è imprevedibile).
Ce lo conferma successivamente anche l’operatore zoppo quando afferma: ”Non si preoccupi è tutto scritto, non vi è nulla che non sia già scritto”.
Anche la scelta finale dei due protagonisti, una volta rimasti soli, di non scappare o chiedere aiuto, ma semplicemente di restare in auto ed aspettare che succeda qualcosa è indicativa (sembra di nuovo che ci si voglia affidare al destino, aspettare che succeda ciò che deve succedere…).
Sembra di essere, a tratti, in una sorta di remake di “The Truman Show”, ma rivisitato in chiave thriller- onirica -grottesca.
Il dettaglio dell’operatore zoppo che perde sangue dal naso e divora le lucciole aggiunge un tocco greve al racconto. Così come le 2 maschere femminili con lo stesso identico sorriso (sembrano cloni o statue quindi anche esse spersonalizzate) e l’immagine di una delle due che palpa la donna mentre questa viene ripresa…tutti elementi che amplificano il senso di disturbo, disagio e inquietudine percepiti dallo spettatore.
 
 5) TRA SOGNO E REALTÀ.
Nel racconto il confine tra sogno/realtà e realtà/finzione è molto labile e forse proprio per questo non ci stupirebbe più di tanto se alla fine ci venisse rivelato che si era trattato tutto di un incubo-visione-allucinazione dei protagonisti…o di un mondo parallelo…anche perché questi sono temi molto cari alla cinematografia: si vedano per es “Big Fish”, ”Don Juan De Marco” , “L’arte del sogno”, “Vanilla Sky”, “Matrix”, “Il favoloso mondo di Amèlie”, “Se mi lasci ti cancello”, “Eyes Wide Shut” etc.etc.
Il racconto poi sembra avere una struttura circolare: inizia, infatti, con i protagonisti assonnati in auto (la donna dorme ancora coricata con la testa sulla coscia dell’uomo) e termina con i due che si sono nuovamente addormentati in macchina…come se fosse un continuo sonno/risveglio e risveglio/sonno…come se tutto ricominciasse da capo in una sorta di cerchio della vita o del destino”…comprese le riprese…perché nel finale vediamo la troupe che ritorna…
 
 6) SPAZIO e TEMPO

La donna un certo punto dice: ”In un amore contano di più le cose non accadute, che quelle successe”- questo mi ha subito fatto venire in mente la poesia “Stazione” della poetessa polacca Szymborska dove ella parla di avvenimenti che non sono mai avvenuti, ma che potrebbero avvenire…e in questa sua particolare ottica ciò che non è avvenuto diventa più importante di quello che è avvenuto.
Il tema dei non-luoghi, non-spazi, non-avvenimenti, delle infinite combinazioni di possibilità è un tema caro alla poesia e alla letteratura.
Così come l’idea che i luoghi non siano solo luoghi geografici, ma anche luoghi dell’anima, come per il Viandante di Schubert o i campi per la protagonista di questo racconto.

Sara Medi

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